
martedì 2 ottobre 2007
mercoledì 12 settembre 2007
Cinque cantieri per l'ambiente
12 settembre 2007
L’esigenza di difendere l’ambiente non è nata oggi, ha una storia già lunga. Fino ad oggi, però, il cammino per fronteggiare i problemi ambientali è stato frenato dalla tentazione di vedere l’ambiente come valore estraneo, se non antitetico, allo sviluppo economico.
Che non sia così, lo testimoniano ad esempio i 200 mila posti di lavoro creati negli ultimi dieci anni in Germania nel comparto delle fonti rinnovabili. O ancora lo dimostra il fatto, ricordato tre anni fa da Pasquale Pistorio a proposito di STMicroelectronics, che il 25% dei profitti di quell’azienda derivava dai vantaggi economici acquisiti con la scelta dell’efficienza e del risparmio energetici. Ora è arrivato il tema inedito e drammatico dei mutamenti climatici a svelare l’infondatezza, o almeno l’anacronismo, di questa opposizione tra ambiente e crescita economica. Combattere il global warming, prima ancora di un dovere etico verso le generazioni future, è un interesse molto pratico e molto urgente, sociale ed economico. Il clima che cambia, infatti, costa e costerà molto di più delle misure necessarie a stabilizzarlo; e già ora penalizza per primi e con più violenza i più deboli, siano gli agricoltori delle regioni africane colpite dalla desertificazione, gli anziani delle nostre città investite dalle ondate di calore o i poveri di New Orleans sommersa dall’uragano Katrina. La politica deve prendere rapidamente le misure di queste novità epocali. Se è vero che i problemi globali richiedono risposte globali, credo ad esempio che sarebbe bene dar seguito concreto all’idea di creare una vera e propria nuova istituzione internazionale, una sorta di Consiglio di Sicurezza dell’Ambiente, che abbia strumenti e poteri per prendere decisioni efficaci e vincolanti.
[]E ad ogni modo è la politica del vasto campo del centrosinistra, del Partito democratico, che perderebbe credibilità e anche senso se non capisse che scongiurare il collasso climatico, tutelare l’ambiente, è oggi una parte decisiva dell’impegno per accrescere il benessere delle persone e delle comunità, dunque per adempiere alla sua stessa ragione sociale. L’Italia deve essere all’avanguardia nella lotta ai mutamenti climatici, rendendo concreti gli obiettivi fissati per il 2020 dall’Ue. In questi mesi il governo ha compiuto scelte importanti: dal fondo per l’applicazione del Protocollo di Kyoto inserito nella Finanziaria 2007 alla riforma degli incentivi alle imprese che producono energia da fonti rinnovabili. Nei prossimi giorni altre indicazioni utili verranno dalla Conferenza sul clima organizzata dal Ministro Pecoraro Scanio.
All’energia va dedicato un primo grande "cantiere dell’innovazione", per fare dell’Italia un Paese leader nella diffusione dei pannelli solari, sia termici per il riscaldamento che fotovoltaici per produrre elettricità. Come stiamo prevedendo a Roma, tutte le nuove costruzioni utilizzino per il loro fabbisogno energetico una quota significativa di energia pulita; e affinando lo strumento delle deduzioni fiscali sulle spese sostenute dalle famiglie per ristrutturare la propria casa, ma anche con nuovi incentivi fiscali da concordare su scala europea, come proposto da Brown e Sarkozy, si dia un forte impulso agli interventi che concorrono a migliorare l’efficienza negli usi energetici residenziali: lampadine ed elettrodomestici ad alta efficienza, caldaie a condensazione, coibentazione degli edifici. Per accelerare la sostituzione degli apparecchi e dei sistemi più energivori e inefficienti, la via è quella indicata dallo stesso vicepresidente di Confindustria Pistorio: accompagnare gli incentivi con la fissazione di scadenze temporali dopo le quali sia vietata la vendita dei modelli che non soddisfano limiti minimi di efficienza.
Il secondo cantiere dell’innovazione riguarda i trasporti. L’Italia soffre di gravi insufficienze quanto a reti e sistemi di trasporto: nel Nord i corridoi esistenti sono vicini al collasso, nel Sud le infrastrutture ferroviarie ma anche quelle stradali sono totalmente inadeguate. Questo vuol dire sovracosti per le imprese, spostamenti scomodi e insicuri per i cittadini, e un impatto ambientale notevole: quattro quinti delle merci e dei passeggeri viaggiano su strada, più che in ogni altro Paese europeo, e questo comporta più inquinamento e più emissioni dannose per il clima. Potenziare e modernizzare il nostro sistema delle infrastrutture è una priorità non più rinviabile: dobbiamo raddoppiare la quota del trasporto ferroviario, rendere più sicure strade e autostrade, dotare il Mezzogiorno di reti moderne ed efficienti. Tutti i soggetti che hanno idee da far valere, dagli enti locali alle forze economiche, dalle organizzazioni sindacali alle associazioni ambientaliste, contribuiscano alla scelta delle opere da fare, naturalmente tenendo conto delle risorse pubbliche e private attivabili. Una volta compiute le scelte, si proceda senza più tornare sulle decisioni, senza più l’intralcio di interessi corporativi o localistici.
Un terzo cantiere dell’innovazione, che riguarda tutta l’Italia ma ha il suo cuore nel Sud, deve interessare le reti di protezione ambientale primaria, acque e rifiuti in testa. Ancora in molte parti del Paese mancano i depuratori e le acque reflue finiscono direttamente in mare, nei fiumi, nelle falde. Questa gravissima lacuna va colmata, e contemporaneamente bisogna realizzare le condizioni per un ciclo davvero unificato delle acque. Un ciclo che anche se gestito da aziende private, risponda però rigorosamente a criteri fissati in base all’interesse della collettività. Nel campo della gestione dei rifiuti va innanzitutto ristabilito con forza il principio di legalità, cominciando con l’inserire nel codice penale i reati delle ecomafie che li smaltiscono clandestinamente. Si può dimezzare entro cinque anni la quantità di rifiuti urbani e industriali che finisce in discarica, puntando sulla raccolta differenziata e su moderni impianti per il trattamento e la termovalorizzazione. Tra tutte le forme di smaltimento, la discarica è la più dannosa per l’ambiente e per la salute dei cittadini ed è anche quella economicamente più insensata, per lo spreco di materiali che potrebbero essere riusati, recuperati, riciclati.
Il quarto cantiere dell’innovazione è quello della bellezza. L’Italia deve mettere a frutto la fortuna di custodire beni ambientali, paesaggistici, culturali di eccezionale pregio; di essere nella realtà, e nell’immaginario di tutto il mondo, il Paese della bellezza, materia prima che produce valore senza inquinare né dissipare risorse. Ma la bellezza non è soltanto nei tesori naturali o in quelli ereditati dal passato: la qualità estetica, accanto a quella ambientale e tecnologica, deve essere il segno anche del nuovo che si realizza, siano case o scuole, centri commerciali o edifici pubblici, automobili o persino capannoni industriali.
Infine, il quinto cantiere dell’innovazione è quello della qualità italiana, di quella che Realacci chiama soft economy. L’infinita varietà di produzioni italiane devono riconoscibilità e competitività a due gambe poderose: un rapporto stretto con il territorio, con i suoi saperi e le sue tradizioni, e un forte tasso di conoscenza, di ricerca, di innovazione tecnologica. Dentro la soft economy c’è il turismo, c’è l’agricoltura dei prodotti tipici, ci sono i parchi e la rete delle mille economie territoriali che sono emblema del "made in Italy". Dobbiamo promuovere e difendere questo tesoro, per esempio operando perché finisca lo scandalo per il quale su dieci euro di prodotti agroalimentari venduti nel mondo come italiani, solo uno è di prodotti veramente "made in Italy".
Energia, infrastrutture, acqua e rifiuti, bellezza, qualità italiana. Il Partito democratico dovrà impegnarsi al massimo per fare di questi cinque "cantieri dell’innovazione" altrettante occasioni vincenti per contrastare con efficacia i problemi ambientali e al tempo stesso per aprire una nuova stagione di sviluppo fondata sulla valorizzazione delle nostre eccellenze: di uno sviluppo davvero sostenibile, che non può vivere di solo Pil ma che pure al nostro Pil, nell’era della concorrenza globale, può fare solo un gran bene.
lunedì 10 settembre 2007
Fassino: manovra di sviluppo, risanamento e riduzione fiscale
«E' stata una riunione molto utile – prosegue il numero uno della Quercia – in cui il ministro Padoa-Schioppa ha illustrato le linee guida della legge Finanziaria che sono sostanzialmente tre: consolidare ulteriormente la crescita che abbiamo conosciuto in questo anno che abbiamo alle spalle, sostenendo investimenti e politiche di ripresa; continuare nella strategia di risanamento dei conti pubblici, proseguendo la linea di riduzione del deficit, del debito e di riqualificazione della spesa pubblica; attivazione di misure di equità sociale, ivi comprese misure di alleggerimento fiscale che siano compatibili con il rigore dei conti pubblici e il sostegno alla crescita e alla ripresa».
«Tutti – sottolinea Fassino – abbiamo constatato come la legge Finanziaria che stiamo predisponendo potrà essere più leggera grazie ai risultati positivi della legge Finanziaria dell'anno scorso. Si può ben vedere oggi che lo sforzo particolarmente significativo e grande che l'anno scorso abbiamo perseguito con la Finanziaria ha prodotto risultati che ci consentono oggi di guardare ai prossimi mesi e ai prossimi anni con maggiore fiducia e di presentare agli italiani una politica economica meno onerosa grazie proprio ai risultati che abbiamo conseguito in questo primo anno».
Se si dovesse scegliere una parola che riassuma il senso della riunione di oggi a Palazzo Chigi, questa è sicuramente la parola “collegialità”. Ogni interlocutore dell’Unione ha detto la sua nel “giro di tavolo” svolto nella sede del governo. L'obiettivo è quello di mettere in chiaro fin da subito quali siano le priorità di ogni singola forza che compone la coalizione per avere un quadro più limpido della situazione. Dalla prossima settimana (10 settembre) sempre in quest’ottica, verranno presentati al ministro Padoa-Schioppa i dossier contenenti i tagli di spesa da effettuare in ogni ministero.
Il metodo della collegialità è stato molto apprezzato (anche dallo stesso Romano Prodi che lo giudica «faticoso ma che dà buoni frutti») in quanto libera tempestivamente il campo da qualsiasi tipo di incomprensione tra gli alleati di governo. Antonello Soro, coordinatore della Margherita e del comitato promotore del Pd, ritiene «ragionevole che tutte le parti della coalizione preparino delle proposte e che poi spetti al governo nella sua collegialità e al presidente del Consiglio la sintesi. Tutti – aggiunge – condizioniamo il governo e la qualità del prodotto che viene fuori dal Consiglio dei ministri».
Anche da parte della sinistra cosiddetta radicale, che settimana prossima presenterà al premier il suo documento sulla politica economica del governo, sono arrivate parole d’apprezzamento per la riunione tenutasi oggi. «Le grandi questioni - ha affermato il leader di Sinistra democratica Fabio Mussi - sono lavoro, ambiente, innovazione, ricerca, formazione, diritti». Nella riunione «è stato stabilito un metodo, quello della collegialità nel governo e nella maggioranza. Daremo un contributo positivo per una discussione che possa portarci ad un salto di qualità».
Tra le priorità della Finanziaria c’è dunque, come affermato da Fassino, la riduzione della pressione fiscale, compatibilmente al processo di risanamento economico e di crescita del Paese. A confermarlo è il ministro per l’Attuazione del Programma Giulio Santagata. «L'anno scorso la priorità del Governo era quella di far quadrare i conti. Quest'anno, invece, i margini di manovra sono più ampi e si basano su due principi: non aumentare la pressione fiscale e non presentarci a Bruxelles se il bilancio non è a posto».
giovedì 8 febbraio 2007
Mozione Fassino (Per il Partito Democratico)
Roma, 31 gennaio 2007
• PARTE I - PERCHE’ UNA NUOVA SFIDA
1. Inizia una nuova storia
2. L’Italia a un bivio
3. Una nuova tappa della “rivoluzione democratica italiana”
4. Il riformismo al Governo
5. Un nuovo pensiero per un nuovo secolo
• PARTE II – IL PARTITO DEMOCRATICO
6. Un partito per chi nel 2010 avrà 20 anni
7. Un partito delle pari opportunità e dei pari diritti
8. Un partito laico
9. Un partito della democrazia
10. Un partito del lavoro
11. Un partito del sapere, dell’intraprendere, dello sviluppo sostenibile
12. Un partito della cittadinanza e della solidarietà
13. Con l’Europa per la pace e la giustizia
14. Un partito europeo
• PARTE III – DALL’ULIVO AL PARTITO DEMOCRATICO
15. L’Ulivo
16. Unire politica e società
17. Un partito democratico e popolare
18. La fase costituente
19. I valori della sinistra in un riformismo più grande
PARTE I – PERCHE’ UNA NUOVA SFIDA
Il nostro compito è di aprire un ciclo nuovo nella vita dell’Italia, della sua
democrazia, delle sue istituzioni, con la consapevolezza delle enormi aspettative che,
dopo la vittoria elettorale e la formazione del Governo Prodi, si rivolgono a noi.
Serve un soggetto politico che, per la sua forza e le sue radici, sia in grado di dare
una guida politica e morale all’Italia, di farla crescere, di far ritrovare al Paese fiducia
in sé stesso, di ricostruire l’identità di una nazione moderna e partecipe della
costruzione dell’Europa come attore mondiale.
Raccogliere questa sfida è tanto più necessario in un tempo, come l’attuale, segnato
da enormi cambiamenti che fanno epoca, rimescolano il mondo intero e investono
anche la società italiana e il suo futuro.
Questo è lʹorizzonte ideale, questa la missione storica che assegniamo al ʺpartito
nuovoʺ che vogliamo costruire, il Partito Democratico: un nuovo soggetto politico,
capace di guidare l’Italia in un passaggio storico della vita nazionale.
1. Inizia una nuova storia
L’Italia è a un passaggio cruciale della sua storia.
E’ in discussione il suo futuro nel mondo nuovo che si sta formando.
La destra ha dimostrato in questi anni di non avere la visione ideale, il
progetto culturale e politico, la classe dirigente necessaria.
Tocca oggi alla sinistra, al riformismo, alle forze di progresso cogliere e
interpretare il nuovo che esprime l’Italia per restituirle senso di sé e del suo
futuro.
Siamo consapevoli che non si tratta soltanto di sostituire una maggioranza di
governo, né di realizzare una pure importante alternanza nella guida politica.
Né, tanto meno, di tornare a prima del 2001, considerando l’epoca
berlusconiana una infelice parentesi da dimenticare.
Compito d’una politica rinnovata è di guardare più nel profondo se vuole
contrastare una deriva, mobilitare le tante energie della società; offrire a
ciascuno la possibilità di far valere la propria capacità; mettere in campo una
nuova stagione della democrazia; riconsegnare ad una società lacerata e divisa
il valore di una comune appartenenza e quei legami profondi che consentono a
ciascuno di percepirsi come parte di una comunità nazionale.
Il mondo, relativamente piccolo, della guerra fredda – da una parte gli Usa e
un pezzo d’Europa, dall’altra il blocco sovietico e poi le grandi masse umane
nell’isolamento del sottosviluppo – non esiste più.
Miliardi di persone irrompono nella storia da protagonisti, l’Asia si risveglia
dopo un sonno secolare, ribolle il mondo islamico, l’America latina cerca una
sua strada per la crescita economica e la stabilità politica.
Gli Stati Uniti faticano a difendere il loro primato.
E l’Europa stenta a incidere sugli equilibri mondiali.
Globalizzazione e sviluppo accelerato dei paesi emergenti ridisegnano assetti
economici, relazioni tra mercati, dinamiche demografiche, mentre un utilizzo
dissennato delle risorse mette a rischio lo stesso equilibrio dell’ecosistema del
pianeta e i cambiamenti climatici divengono una minaccia sempre più
terribile per il futuro dell’umanità.
Si tratta di mutamenti che rappresentano una sfida di portata storica: l’’Italia
può uscirne più forte, matura, consapevole di sé, o invece seriamente
ridimensionata. Un piccolo paese in un mondo sempre più grande, dopo
essere stato per tanto tempo un grande paese in un mondo più piccolo.
L’Italia ce la può fare.
Lo dimostra il fatto che nella seconda metà del Novecento, ha avuto una
crescita che gli ha consentito di raggiungere livelli di potenza industriale e di
benessere economico che pongono il nostro Paese ai primi posti nel mondo.
Lo dimostra la capacità di una parte significativa del sistema imprenditoriale
di ristrutturarsi – nelle dimensioni e nei prodotti – per stare in modo
competitivo sui mercati aperti di oggi.
E abbiamo tuttora le risorse materiali, intellettuali e morali per tornare a
essere grandi, per competere sulla fascia alta dei mercati mondiali, per
costruire condizioni solide e non illusorie di eguaglianza e giustizia sociale,
per dare nuova linfa vitale alle istituzioni democratiche.
Questo è il compito del prossimo Congresso: costruire una più grande e
nuova forza riformista, di rango europeo. Il Partito Democratico.
Una svolta non solo necessaria. Possibile!
2. L’Italia a un bivio
Cinque anni di governo del centrodestra hanno aggravato i rischi di declino
del paese: la crescita è scesa quasi a zero; la spesa pubblica corrente è
aumentata di tre punti di pil; il livello della pressione fiscale, nonostante le
promesse di riduzione, è rimasto inalterato; deficit e debito sono tornati ad
aumentare. Sotto il profilo sociale si è ampliata la forbice tra ricchi e poveri.
Mentre permane una irrisolta questione meridionale, è maturata anche una
questione settentrionale.
La verità è che sia i problemi urgenti, sia i nodi del paese di lungo periodo
non sono stati neppure sfiorati.
Ad essi si sono aggiunte nuove emergenze civili e democratiche, con l’attacco
alla Costituzione, bocciato dai cittadini nel referendum, e con la sconsiderata
riforma elettorale che ha aggravato i già seri problemi di instabilità,
frammentazione e degenerazione oligarchica del sistema politico.
Le istituzioni di garanzia e di tutela della legalità – a partire dalla
magistratura – sono state sottoposte ad attacchi inconcepibili in un paese
democratico. Si sono manifestati scandalosi intrecci tra interessi privati e
pubbliche funzioni. La libertà è stata presentata come libertà “dalle” regole e
non “nelle” regole. L’evasione fiscale premiata con condoni. La difesa delle
regole è stata chiamata giustizialismo. L’invocazione di immunità per il
potente è stata chiamata garantismo.
Ne sono derivate la delegittimazione dei pubblici poteri, la mortificazione del
principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, l’esplosione del
particolarismo e dei conflitti di interesse, la continua ricerca di una delega
plebiscitaria e deresponsabilizzante ad una leadership demiurgica.
Bastano questi dati a definire un indirizzo di governo: che è stato populista,
assai più che liberista, accentuando la distanza tra le istituzioni e la società
civile e il diffondersi della delusione e della sfiducia dei cittadini nei riguardi
della politica.
In realtà la destra ha governato per cinque anni facendo leva sulle paure, sui
rischi, sulle minacce, mai sulle opportunità e sulle sfide. Di nuovo, la fuga
dalla responsabilità: l’esatto contrario di ciò che serve all’Italia per tornare a
crescere.
3. Una nuova tappa della “rivoluzione democratica” italiana
Il ʺproblema italianoʺ è più che mai, per dirla con Gramsci, quello di una
ʺriforma intellettuale e moraleʺ, potremmo dire di una ʺautoriforma civileʺ.
Ci sono momenti nella vita delle nazioni in cui un Paese è chiamato a
interrogarsi sul suo destino e a ridefinire la propria identità.
E’ accaduto agli Stati Uniti dopo la depressione del ’29; è accaduto alla
Germania dopo la tragedia del nazismo, dell’olocausto e della seconda guerra
mondiale; è accaduto alla Francia nella crisi della quarta Repubblica e nella
perdita, con la decolonizzazione, del suo carattere imperiale; è accaduto alla
Spagna nel passaggio dal franchismo alla democrazia. Accadde con la
costruzione dell’Italia repubblicana dopo il crollo del fascismo.
In ognuno di questi passaggi ci sono state forze politiche – talora
conservatrici, talora progressiste – che hanno interpretato la esigenza di
guidare il proprio Paese nella ridefinizione della sua identità e del suo
destino.
Così accade oggi all’Italia: e un passaggio così cruciale richiede una forza
politica di vasto consenso elettorale, di robuste radici sociali, con una classe
dirigente credibile e profondamente rinnovata che guidi l’Italia verso un
nuovo approdo.
Il Partito Democratico serve per dare all’Italia una nuova stagione della
democrazia.
Una democrazia economica fondata sulla trasparenza dei mercati, sulla tutela
dei consumatori, sul rispetto delle regole della concorrenza e del pluralismo
economico, sul dialogo sociale e su un sistema di relazioni industriali che
riconosca il ruolo dei soggetti sociali e promuova la partecipazione dei
lavoratori nell’impresa e nell’economia.
Una democrazia sociale fondata sull’applicazione piena dei diritti costituzionali
– e in primo luogo il diritto al lavoro – sul riconoscimento dei diritti di
cittadinanza, sull’universalità del welfare e dei suoi servizi, sulla inclusione e
la costruzione di forti relazioni sociali, sulla valorizzazione dei tanti soggetti –
dalle ONG al terzo settore, all’associazionismo della solidarietà – che ogni
giorno contribuiscono alla coesione sociale.
Una democrazia politica che rinnovi la capacità delle istituzioni di
rappresentare una società complessa, che valorizzi l’autonomia dei poteri
locali e regionali, che sappia promuovere la cittadinanza attiva e la ricchezza
del nostro tessuto civile, e al tempo stesso, dimostri di saper decidere,
scegliere e governare, assumendosi tutte le responsabilità necessarie.
Insomma: una democrazia governante espressione di una nuova cultura di
governo.
4. Il riformismo al Governo
E’ innanzi tutto attraverso l’azione di governo che dobbiamo mettere alla
prova la nostra funzione di classe dirigente nazionale, la nostra capacità di
restituire alla politica l’intelligenza e l’autorevolezza necessarie per capire il
paese e sostenerlo nel cambiamento.
Si è incominciato a farlo.
La crisi libanese è stata l’occasione per dimostrare al mondo l’immagine di
un’Italia capace di assumersi le proprie responsabilità e di saper agire per
promuovere pace, sicurezza, democrazia e diritti.
Un paese capace di dire no quando è convinto che una guerra – come in Irak
– sia sbagliata. E capace di impegnarsi con generosità, anche con l’impiego
delle sue Forze Armate, quando è convinto che insieme all’Onu, all’Unione
europea, alla Nato, è possibile portare pace là dove ci sono guerre e conflitti,
come nei Balcani, in Afghanistan e in Medio Oriente.
La legge Finanziaria ha messo al centro l’obiettivo di trasformare la ripresa in
sviluppo duraturo, invertendo le tendenze negative di questi anni: dalla
crescita zero alla ripresa economica, dall’indebitamento alla riduzione del
deficit, dall’aggravarsi delle sperequazioni alla redistribuzione di redditi e
all’equità fiscale.
Le liberalizzazioni, varate e in programma, sono il segno – giustamente colto
dall’opinione pubblica – di una volontà di modernizzare economia e consumi
e liberare risorse e opportunità.
Ed è con lo stesso obiettivo che il 2007 dovrà essere l’anno di riforme
strutturali – nella previdenza, nel mercato del lavoro, nelle pubbliche
amministrazioni, nei servizi sociali, nella scuola e nell’università – che
consentano di modernizzare il Paese accrescendone competitività e apertura,
consapevoli che l’equità sociale si realizza solo se il Paese viene liberato da
incrostazioni corporative, arretratezze e rigidità che tengono chiuse porte,
riducono opportunità, mortificano merito e competenza, deprimono spirito di
iniziativa e volontà di realizzare le proprie aspirazioni.
Senza una riorganizzazione degli ammortizzatori sociali continueremo ad
avere un mercato del lavoro rigido per i padri – che un lavoro ce l’hanno, ma
se devono cambiarlo non riescono – e precario per i figli, che un lavoro lo
trovano quasi sempre temporaneo, transitorio e incerto.
Senza una revisione del sistema previdenziale continueremo ad avere troppe
pensioni basse e tanti giovani che una pensione non l’avranno.
Senza una riforma forte dell’università e della ricerca – che premi il merito, le
qualità individuali e l’eccellenza e recuperi anche l’obiettivo di un forte
investimento che la Finanziaria non è riuscita a cogliere appieno –
continueremo a tenere una generazione in un umiliante parcheggio.
Senza riforme incisive nella Pubblica Amministrazione – e prima di tutto il
ripristino del principio di responsabilità – il senso di estraneità e diffidenza
dei cittadini verso lo Stato crescerà.
Senza quella “nuova rivoluzione industriale” – indicata dall’Unione Europea
– fondata su un uso razionale delle risorse, su tecnologie pulite, sulla
sostenibilità ambientale, non sarà possibile arrestare i rischi climatici e lo
stesso sviluppo economico non produrrà i benefici sperati.
Dobbiamo essere consapevoli delle enormi aspettative suscitate dalla vittoria
elettorale. Non ci si chiede soltanto una sana, onesta e adeguata gestione della
cosa pubblica. I cittadini si aspettano un’azione di forte innovazione, di
coraggiosa apertura, di liberazione di energie e risorse.
Ma l’azione di governo, da sola, non basta.
Ce lo ha insegnato, in modo definitivo, l’esperienza di dieci anni fa, quando –
con i governi Prodi, D’Alema e Amato – una politica giusta ottenne risultati
straordinari per l’Italia, seppe rimettere in moto energie e speranze, riuscì a
portare la lira nella moneta unica, metafora di una rinascita del paese.
E tuttavia fummo sconfitti.
Parlammo allora dei limiti del “riformismo dall’alto” e di “un riformismo
senza popolo”.
Non possiamo ripetere lo stesso errore dieci anni dopo.
Ed è proprio qui che è necessario un forte partito democratico e riformatore
capace di assolvere a una funzione nazionale.
Serve un partito riformista la cui azione metta al centro la persona e a ogni
cittadino assicuri più libertà, più opportunità, più diritti.
Un partito riformista capace di dettare le regole di una società aperta e
responsabile, nella quale la insopprimibile aspirazione di ognuno a realizzare
le proprie scelte di vita si accompagni alla consapevolezza dei diritti e dei
doveri e al valore dell’interesse generale e dello spirito pubblico.
Un partito capace di far camminare insieme innovazione di sistema, apertura
al mercato e riorganizzazione del welfare.
Un partito capace di scrivere un nuovo “patto sociale” fondato su
innovazione delle imprese, modernizzazione della pubblica amministrazione
e valorizzazione del lavoro.
Un partito capace di promuovere uno sviluppo sostenibile: uno sviluppo in
grado riassicurare qualità della vita ed equità sociale senza compromettere
l’ambiente, il clima, le risorse naturali, valorizzando anzi la qualità
ambientale come fattore cruciale del benessere economico e sociale.
E’ per dare agli italiani questo soggetto riformista che nasce il Partito
Democratico.
5. Un nuovo pensiero per un nuovo secolo
Per assolvere adeguatamente a questo ruolo dovremo essere capaci di
proporre un pensiero nuovo.
A cavallo del secolo anche l’Italia è passata dal lavoro fordista al lavoro
flessibile, dallo Stato-nazione all’integrazione europea, dai mercati protetti
alla globalizzazione, dalla crescita misurata quantitativamente alla necessità
ineludibile di uno sviluppo sostenibile, dalla comunicazione scritta a internet,
da nazione di emigranti a società multietnica.
Insomma, sono i tratti intorno a cui si è costruita l’esperienza della sinistra e
del riformismo nel Novecento ad essere messi in discussione.
Ma ciò che non è venuto meno è quel bisogno – che fu l’anima del socialismo
storico – di pensare un mondo diverso, più giusto e più umano e di lottare
contro gli egoismi sociali e le discriminazioni di classe, razza, religione e
genere.
Per questo abbiamo bisogno non di rinnegare il passato, ma reinventare i suoi
valori, elaborando un ʺpensiero nuovoʺ, capace di leggere e di raccogliere le
sfide di un secolo nuovo.
Un pensiero nuovo può nascere se le diverse culture riformiste italiane –
socialista, cattolico democratica, liberaldemocratica, ambientalista – vanno
oltre la parzialità delle loro singole esperienze per incontrarsi e insieme,
fondando il Partito Democratico, dare una rappresentanza politica unitaria al
riformismo.
Serve l’unità dei riformismi, perché dinanzi alle sfide del nuovo secolo,
nessuna delle grandi culture e tradizioni politiche riformatrici del Novecento
può pensarsi come autosufficiente.
Solo l’incontro tra le tradizioni riformiste e il loro aprirsi le une alle altre può
dare alla nostra azione politica la possibilità di comprendere, di affrontare e
di vincere le sfide che l’età contemporanea pone all’intelligenza e alla
coscienza dell’umanità.
Peraltro stanno alle nostre spalle le ragioni principali su cui si è fondata,
lungo più di un secolo, la divisione e la competizione tra le culture riformiste
e i partiti che le rappresentavano.
L’89, con la caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi comunisti, il
tramonto delle ideologie e la fine della guerra fredda, ha reso possibile quel
che prima possibile non era. Una aspirazione comune all’unità riformatrice,
che non poté e non poteva realizzarsi nella stagione della guerra fredda e del
conflitto tra sistemi ideologici e politici.
Per parte nostra abbiamo fatto nascere il Pds, facendolo aderire al Pse, e poi
con i DS ci siamo ulteriormente aperti all’apporto di diverse culture
riformiste.
La crisi della DC, a sua volta, ha sollecitato la ricollocazione delle sue correnti
popolari e sociali nel campo del riformismo e la nascita della Margherita.
Ma l’ aspirazione all’unità per concretizzarsi non poteva tradursi soltanto in
una somma delle vecchie storie con i loro limiti e le loro insufficienze, ma
doveva essere l’inizio di una nuova storia.
L’Ulivo è stato il luogo dell’incontro, consentendo alle diverse culture
politiche riformiste – che nel corso del ‘900 si erano aspramente combattute –
di riconoscersi reciprocamente e di elaborare una comune lettura della società
italiana e un comune progetto politico per l’Italia.
E l’Ulivo è stato anche il luogo di incontro dei riformismi laici con il
riformismo di matrice cattolica, con la consapevolezza di quanto decisivo e
strategico sia nella storia dell’Italia, e per il suo futuro, il mondo cattolico e di
come una alternativa democratica e di progresso sia assai più difficile se quel
mondo volge il suo sguardo a destra.
Davanti a noi adesso c’è l’ultimo tratto di strada, il passo più complesso e
ambizioso: un “partito nuovo” – e non semplicemente il rinnovamento dei
partiti esistenti – per interpretare e guidare i cambiamenti e aprire così una
nuova stagione della democrazia italiana.
Sappiamo che questo traguardo è ancora davanti a noi.
Sappiamo soprattutto che a questo traguardo non potremo arrivare da soli.
Sappiamo che a questo traguardo ci spinge la nostra storia recente e ci
spingono le radici profonde che abbiamo alle spalle: l’aspirazione ad un’unità
più grande e più piena.
Oggi il tempo è maturo, per dar vita insieme ad altre forze politiche e
organizzazioni sociali e culturali, su un piano di pari dignità, a quel partito
nuovo che il paese domanda. Solo in questo modo, la lunga transizione
italiana che ha preso le mosse nell’89, potrà dirsi compiuta.
Ci sono, dunque, ragioni forti e valori condivisi che ci spingono al progetto
del Partito Democratico.
PARTE II – IL PARTITO DEMOCRATICO
Non si governa un mondo nuovo, senza una lingua nuova.
E noi dobbiamo essere capaci di far incontrare le parole storiche della sinistra e delle
forze di progresso – pace, libertà, democrazia, uguaglianza, lavoro, solidarietà – con
l’alfabeto del nuovo secolo: multilateralismo, integrazione, sostenibilità, multietnicità,
cittadinanza, differenza, pari opportunità, laicità, innovazione, merito.
Il Partito Democratico sarà il partito delle istituzioni e non del Palazzo, delle regole e
non dei divieti, dei diritti e non dei privilegi, dei meriti e non dei favori, della famiglia
e non del “tengo famiglia”, della solidarietà e non dell’assistenzialismo, delle pari
opportunità e non delle discriminazioni, del lavoro e non della precarietà, della
sostenibilità e non della dilapidazione della natura, dell’Europa e non del campanile.
Vogliamo così costruire una società che ai suoi cittadini, ai suoi figli, alle sue
famiglie, alle sue imprese offra più libertà, più opportunità, più equità.
6. Un partito per chi nel 2010 avrà 20 anni
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia che apra le troppe porte chiuse.
Un’Italia che consenta a chi è giovane di potersi sposare, di avere una casa, di
fare dei figli.
Un’Italia che si fondi sul merito – e non sulla cooptazione e sul favore – e
promuova l’accesso dei giovani a ogni tipo di attività e funzione nelle
imprese, nelle professioni, nelle pubbliche amministrazioni, nelle istituzioni e
nella politica.
Un’Italia in cui scuola e università non siano un parcheggio, ma il luogo di
una formazione severa e di qualità per offrire più opportunità di lavoro e di
vita.
Un’Italia che incoraggi i giovani a scommettere su di sé, sul proprio talento,
sulla volontà di realizzare le proprie aspirazioni di vita.
Così vivono e crescono le nazioni che emergono: dove si può sbagliare perché
si cresce mettendosi alla prova e facendo nascere nuovi talenti e nuove
energie.
Vogliamo un’Italia che liberi il lavoro di ragazze e ragazzi da umilianti
precarietà e incertezze e organizzi la flessibilità come effettiva maggiore
opportunità di esperienze lavorative e professionali.
Vogliamo un’Italia risanata nei suoi conti pubblici perché non gravi sulle
spalle delle nuove generazioni un debito ingiusto ed insopportabile.
E’ un altro debito ancora più pesante non possiamo mettere sulle loro spalle:
un ambiente degradato ed avviato verso la catastrofe ambientale, che solo
può essere contrastata se la qualità e la sostenibilità diventano il criterio
prioritario di qualunque decisione pubblica e se attraverso una
modernizzazione ecologica dell’economia si costruisce uno sviluppo
duraturo e tecnologicamente più avanzato.
Vogliamo una società aperta, non solo per gli anagraficamente giovani, ma
anche per i “vocazionalmente giovani”: coloro – spesso in un’età intermedia –
che rifiutano l’idea che la maturità debba coincidere con un ripiegamento
delle aspettative e una resa al cinismo o alla passività e aspirano invece a
veder riconosciute professionalità, competenze, esperienze.
7. Un partito delle pari opportunità e dei pari diritti
Con il Partito Democratico vogliamo contribuire a costruire una società
fondata sul riconoscimento di pari diritti e pari opportunità per ogni persona.
Una società in cui nessuno possa essere discriminato per il proprio
orientamento sessuale, per le idee che esprime, per la fede che professa.
Una società che scommetta sulle risorse femminili, colmando lo scarto
enorme tra il patrimonio di sapere, di conoscenza, di elaborazione, di
esperienze pratiche che le donne esprimono e il ruolo che ad esse viene
riconosciuto nel lavoro, nelle professioni, nelle istituzioni culturali, nella
politica.
Michelle Bachelet in Cile, Segolène Royal in Francia, Hillary Clinton negli
Stati Uniti, Angela Merkel in Germania sono l’espressione di un mondo che
sempre di più si affida alle donne.
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia che liberi le donne dagli
ostacoli che ne impediscono l’accesso al lavoro e l’affermazione professionale:
con politiche di formazione e servizi che concilino lavoro e vita personale;
con incentivi che promuovano ogni forma di occupabilità e accrescano il
livello di occupazione femminile; con tempi di lavoro rimodulati; con tutele e
diritti che contrastino la precarietà; con incentivi all’imprenditoria femminile
e alla valorizzazione delle capacità delle donne.
Un’Italia che innovi il suo sistema di protezione sociale con servizi per le
persone e la famiglia, che aiuti a crescere i bambini e i figli, a dare serenità
agli anziani, a sostenere chi non deve essere lasciato solo nel disagio.
Un’Italia che sappia che la lotta alla violenza sulle donne – e sui bambini – è
tema civile e politico prioritario che riguarda tutti, prima di tutto gli uomini,
e richiede da parte delle istituzioni nazionali e locali l’attivazione di
strumenti di contrasto alla violenza e di sostegno solidale alle vittime.
Un’Italia che promuova, anche con strumenti legislativi, l’accesso delle donne
a incarichi e funzioni dirigenti di ogni ordine e grado, mettendo in
discussione esclusivismi maschili e rimuovendo troppi ostacoli discriminatori
tuttora esistenti.
Un’Italia nella quale la politica e i partiti non si sottraggano più a dare
attuazione all’art. 51 della Costituzione per l’equilibrio di rappresentanze
nelle istituzioni.
Un’Italia laica che assuma le donne, la loro libertà di scelta, i loro diritti
soggettivi come fondamento irrinunciabile di una società capace di rispettare
le scelte di vita di ogni persona e di consentire a ciascuna e ciascuno di
esercitare la propria libertà nella responsabilità.
8. Un partito laico
Il Partito Democratico sarà un partito laico, di donne e uomini, liberi e
responsabili, capace di promuovere e affermare l’uguaglianza dei diritti, la
parità di genere, la tutela dell’identità di ogni persona, il pieno rispetto
dell’orientamento sessuale e delle scelte di vita di ciascuno.
Sarà un partito dei diritti civili, la cui piena affermazione corrisponda all’idea
di una democrazia al cui centro ci sia la persona.
Un partito che riconoscerà il valore delle fedi e delle culture e promuoverà
confronto, dialogo e ricerca di soluzione condivise intorno ai temi che
investono il destino dell’uomo e della vita e su cui vi è una nuova e più
matura sensibilità nella società di oggi, assai più attenta ai diritti della
persona e alla loro piena affermazione.
Riconoscimento giuridico dei diritti delle persone, omosessuali e
eeterosessuali, che vivono nelle unioni di fatto; disciplina del testamento
biologico; norme umane sull’accanimento terapeutico; miglioramento della
legge sulla fecondazione assistita; criteri per la ricerca sulle staminali: sono
questioni su cui l’Ulivo oggi e il Partito Democratico domani devono
esprimere soluzioni avanzate e condivise.
Anche perché, su questi temi, noi non ci rassegniamo alla coabitazione di
diversità inconciliabili, nel nome della libertà di coscienza.
Ferma restando la libertà di coscienza, che è un valore incomprimibile, la via
del confronto, del dialogo ravvicinato, della mediazione alta, è la via maestra
per produrre soluzioni mature e consapevoli della complessità e della
delicatezza dei valori in gioco.
E’ la via maestra per riaffermare la laicità della politica, che non è messa in
pericolo dalla forza con la quale questa o quella confessione religiosa
manifesta il suo credo religioso, o le sue convinzioni morali, o anche auspica
o invita i cittadini ad assumere una determinata gerarchia di priorità
politiche. La laicità della politica, in un sistema democratico, può essere
messa in dubbio solo dalla debolezza o dalla subalternità della politica e delle
istituzioni.
La laicità della politica, avrà molto da guadagnare dall’avvento sulla scena
politica italiana di un grande partito riformista, plurale nelle sue radici
culturali, capace di dare piena cittadinanza a credenti e non credenti.
Un partito non solo rispettoso di tutte le chiese e le confessioni religiose, ma
attento alle loro opinioni, spesso capaci di cogliere aspetti della vita
dell’umanità contemporanea che talora la politica fatica a percepire.
Ma allo stesso tempo, un partito che rivendica a sé quel che solo la politica
può e deve fare: l’autonomia e l’imparzialità delle istituzioni, l’uguaglianza e
la certezza dei diritti, la ricerca di soluzioni condivise tra le diverse
ispirazioni culturali e etiche.
Questa è la laicità della politica, questo è il modo vero di difenderla e di
promuoverla nelle società pluraliste e democratiche.
9. Un partito della democrazia
Con il Partito Democratico vogliamo far uscire l’Italia da una transizione da
troppi anni incompiuta, che sta logorando la qualità della democrazia italiana
e allargando il solco tra politica e cittadini: una distanza che se non colmata
con una forte iniziativa democratica rischia di divenire facile terreno per
derive qualunquiste, plebiscitarie, antipolitiche.
E’ già stato così dieci anni fa, quando il leaderismo populistico berlusconiano
riempì il vuoto apertosi con la crisi profonda delle istituzioni e dei partiti
della prima repubblica.
Rischio che non sta alle nostre spalle per il solo fatto che Berlusconi ha deluso
e ha perso le elezioni.
Peraltro in questi anni – grazie al peso forte conquistato dal centrosinistra
nelle elezioni amministrative e regionali – è cresciuto un ricco tessuto di
esperienze innovative di autogoverno intorno al sistema delle Autonomie
locali e dei poteri regionali, che hanno spesso supplito con generosità e
efficacia al deficit di programmazione e azione dello Stato centrale e delle sue
amministrazioni.
Un patrimonio innovativo a cui oggi si può attingere per riprendere un
percorso di riforme istituzionali che debbono avere il segno del federalismo,
della sussidiarietà e della modernizzazione dello Stato.
Dopo che gli italiani hanno respinto con il referendum lo strappo
costituzionale del centrodestra, vogliamo rilanciare il confronto politico e
parlamentare sulle riforme istituzionali ed elettorali, su tre versanti: la forma
di Stato, con i necessari aggiornamenti alla riforma federalista del Titolo V, la
ridefinizione dei poteri delle autonomie locali e la attuazione del federalismo
fiscale e dell’art. 116 della Costituzione; il bicameralismo, con l’improrogabile
necessità di riforma del Senato nella direzione di Assemblea rappresentativa
di Regioni e Autonomie Locali; il rafforzamento, in un quadro di garanzie e
contrappesi, della stabilità del Governo e delle prerogative del premier.
Di questo percorso deve far parte, a pieno titolo, la modifica della legge
elettorale i cui cardini devono essere il bipolarismo e la coesione delle
coalizioni, la minore frammentazione politica, il necessario radicamento
territoriale degli eletti e l’applicazione dell’articolo 51 sull’equilibrio di
rappresentanza di uomini e donne.
La stessa iniziativa referendaria deve sollecitare le forze politiche a ricercare
una soluzione adeguata in sede parlamentare, nel segno del rafforzamento
della democrazia dell’alternanza e del bipolarismo.
Proprio l’esperienza di questi ultimi quindici anni, tuttavia, ci insegna che
riforme istituzionali e costituzionali per potersi realizzare necessitano di una
contestuale riforma dei partiti e del sistema politico.
E’ proprio l’estrema frammentazione politica – 23 partiti oggi siedono in
Parlamento! – a rendere perennemente instabile, inefficace e chiuso in sé
stesso il sistema politico.
D’altra parte guardando all’Europa si può ben constatare che ormai ovunque
– quali che siano le leggi elettorali in vigore - i sistemi politici sono
organizzati intorno a due schieramenti, uno progressista e una conservatore,
ciascuno dei quali guidato da una forza principale di vasto radicamento
sociale, di largo consenso elettorale, di forte cultura di governo.
E’ esattamente per rispondere anche a questa esigenza di riforma delle
Istituzioni e del sistema politico italiano che serve il Partito Democratico, una
grande forza che guidi e dia solidità ad una coalizione di centrosinistra larga,
obiettivamente esposta a rischi di fragilità e distinzioni.
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia che riscopra senso civico, etica
della responsabilità, fiducia nel perseguire i propri piani di vita individuale,
valore dell’interesse generale e della legalità, uguaglianza di cittadini di
fronte alla legge, perché ogni cittadino sia certo nei suoi diritti e consapevole
nei suoi doveri.
Un’Italia in cui liberare i territori e le comunità insidiate dalla mafia e dalla
criminalità organizzata sia un obiettivo di tutta la società italiana.
Un’Italia in cui i cittadini si sentano sicuri nella loro vita quotidiana e difesi
dallo Stato perché diritti, doveri e legalità vengono fatti rispettare; il territorio
è presidiato da forze dell’ordine in misura adeguata; il sistema giudiziario è
facilmente accessibile, rapido nell’accertamento delle responsabilità e certo
nelle pene; le vittime non sono abbandonate a se stesse.
Vogliamo un’Italia capace di offrire ai suoi cittadini uno Stato “amico” che
liberi la vita quotidiana da burocrazie opprimenti e riorganizzi la Pubblica
Amministrazione promuovendo capacità e merito, incentivando produttività
e efficienza, introducendo flessibilità e lavoro per progetti, selezionando in
modo trasparente, adottando criteri verificabili di valutazione dei risultati,
ricorrendo ad una drastica delegificazione e un’ampia semplificazione di
procedure, adempimenti, autorizzazioni sostituite da modalità – quali
autocertificazione e silenzio-assenso – che facciano leva sulla responsabilità
dei cittadini.
10. Un partito del lavoro
I riformismi italiani nacquero prima di tutto per rappresentare il mondo del
lavoro e affermarne i diritti e la dignità.
Il Partito Democratico sarà un grande partito del lavoro, battendosi perché la
società italiana torni a riconoscere il valore del lavoro – sia intellettuale, che
materiale e in tutte le sue forme – come l’espressione della personalità, della
creatività e dell’ingegno umano.
Obiettivo primario è la crescita per ottenere piena e buona occupazione.
Il lavoro e la sua qualità sono la condizione strategica per realizzare uno
sviluppo economico equo, stabile e duraturo, e va pertanto riconosciuto e
valorizzato a partire dalla realizzazione di un mercato del lavoro che assicuri
a ogni lavoratrice e lavoratore: una formazione permanente che lo
accompagni nel suo percorso professionale; un sistema di tutele del reddito
nei periodi di non lavoro o di ristrutturazione aziendale; tutele e diritti di
cittadinanza per le diverse fasi della vita e del lavoro; incentivi e sostegni per
l’incremento dell’occupabilità femminile e giovanile; un sistema pensionistico
certo per tutti, anche per chi ha un’attività discontinua o parasubordinata;
una politica salariale che tuteli il valore reale delle retribuzioni, e punti alla
loro crescita in rapporto alla produttività anche valorizzando professionalità
e lavoro manuale.
Un’Italia capace di contrastare il lavoro nero, illegale, di tutelare la salute di
chi lavora e di combattere il dramma dei troppi infortuni e delle “morti
bianche”.
La consapevolezza di vivere in una società dinamica e mobile, in cui
produzione e lavoro sono sempre più caratterizzati da forme flessibili, non fa,
dunque, venir meno la necessità di offrire ad ogni donna e a ogni uomo un
lavoro certo e stabile, riconosciuto professionalmente, dignitosamente
retribuito, giuridicamente e contrattualmente tutelato.
Per questo forme flessibili di lavoro vanno dotate di strumenti, tutele e diritti
che contrastino i tanti rischi di precarietà e di insicurezza e favoriscano la
stabilizzazione.
Confronto, dialogo sociale e concertazione con le parti sociali e con il
movimento sindacale, che si auspica possa essere sempre più unitario, sono
essenziali, per una condivisione delle scelte di sviluppo e di equità e per
promuovere partecipazione responsabile sulle grandi scelte di politica
economica e sociale.
Occorrono poi nuove norme per la rappresentanza e la rappresentatività
sindacale e per una giustizia del lavoro meno costosa e più efficiente e veloce.
Fa parte di una moderna visione del lavoro riconoscere pari dignità e valore
al lavoro autonomo, alle professioni, al creare impresa, sostenendo con
politiche, risorse, strumenti chi sceglie di intraprendere, investire su di sé,
rischiare in proprio, valorizzare la propria autonomia professionale.
E il mondo delle imprese – le grandi e medie, come il ricchissimo tessuto di
piccole aziende – devono essere protagonisti decisivi nel processo di
modernizzazione e di crescita dell’Italia.
Così come un Partito del lavoro ha tra i suoi compiti la valorizzazione delle
forme di impresa sociale, cooperativa e no profit.
11. Un partito del sapere, dell’intraprendere, dello sviluppo sostenibile
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia che, come tutte le grandi
nazioni, investa prioritariamente sulle risorse umane – il principale capitale
di una società – e su sapere, conoscenza, formazione, educazione, facendo del
nostro Paese uno dei poli principali del sistema culturale europeo, investendo
sull’infanzia e su strutture per i zero-sei anni, dedicando più risorse alla
scuola, all’università e alla ricerca, ancorando i finanziamenti a valutazioni di
qualità e di competenza, innalzando l’obbligo scolastico e riqualificando la
formazione professionale, facendo della formazione permanente lo strumento
per un mercato del lavoro moderno in cui la flessibilità sia liberata dai rischi
di precarietà, promuovendo stabilità e formazione per chi ha il delicato
compito di educare e di istruire.
Vogliamo un’Italia che sul sapere e sulla conoscenza fondi la sua capacità
competitiva: sostenendo la crescita dimensionale delle imprese e il livello di
specializzazione dei prodotti e dei servizi; promuovendo filiere produttive e
distretti territoriali; espandendo la presenza del sistema Italia sui mercati
emergenti; promuovendo con le liberalizzazioni concorrenza e qualità dei
servizi pubblici; investendo sull’innovazione e sulla ricerca; attuando una
politica fiscale equa e promotrice di investimenti; dotando il Paese di
un’armatura infrastrutturale – dai porti ai sistemi di comunicazione alle reti
digitali – moderna e competitiva; sollecitando il sistema finanziario ad un
maggiore dinamismo; perseguendo la sostenibilità ambientale e l’adozione di
tecnologie pulite in ogni campo.
Vogliamo un’Italia che così – con sapere e sostenibilità – faccia uscire il
Mezzogiorno dalla storica condizione di minore sviluppo, promuovendo
verso il Sud non già politiche speciali, ma una più alta intensità e
concentrazione delle politiche nazionali dedicate alla formazione, alla
occupabilità di giovani e donne, alla modernizzazione infrastrutturale, alla
valorizzazione del sistema portuale e logistico, agli investimenti produttivi e
terziari, alla valorizzazione turistica e sociale del ricchissimo patrimonio
culturale e paesaggistico. Un’Italia che così sconfigga l’illegalità, l’economia
nera, il caporalato, la criminalità organizzata.
Vogliamo un’Italia che scommetta sulla sostenibilità ambientale e
contribuisca a salvare il pianeta dai rischi che i cambiamenti climatici
producono, puntando su efficienza energetica, energie pulite e rinnovabili,
salvaguardia del territorio e dell’ecosistema, qualità ecologica e
multifunzionale dell’agricoltura, alimentazione fondata su originalità di
prodotti e territori, mobilità sostenibile, promozione di tecnologie pulite.
Un’Italia che sappia rispettare il protocollo di Kyoto, facendone una
straordinaria opportunità di innovazione tecnologica, di modernizzazione
ecologica dell’economia e di un nuovo modo di produrre e di consumare.
Il tema dello sviluppo sostenibile contiene in sé troppo futuro perché la
politica riservi ad esso attenzioni solo marginali e risarcitorie.
Industria, agricoltura, turismo, trasporti, ogni versante di attività può trovare
nella sostenibilità una nuova sorgente di riferimento per preservare un
capitale di beni e opportunità, per dischiudere nuove frontiere di libertà, per
promuovere benessere individuale e sociale e innovazione in campo
economico.
Vogliamo un’Italia che tuteli e valorizzi l’enorme patrimonio di storia, di
cultura, di civiltà e ambiente, promuovendo una nuova grande stagione di
produzione intellettuale e culturale e facendone una leva centrale di sviluppo
di qualità.
Un’Italia che promuova le straordinarie e amplissime opportunità della
comunicazione, liberando il sistema da concentrazioni, oligopoli, posizioni
dominanti e conflitti di interesse, aprendo ad un maggiore pluralismo
culturale, informativo e imprenditoriale, dotando il sistema di regole
trasparenti per la concorrenza, promuovendo emittenze e editoria locale,
restituendo dignità e missione al servizio pubblico televisivo e alla Rai.
12. Un partito della cittadinanza e della solidarietà
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia con uno stato sociale nuovo,
non solo risarcitorio, ma creatore di chances, opportunità e sviluppo.
Un’Italia che non lasci sole le persone e le famiglie, riorganizzando la spesa
pubblica secondo nuove priorità: asili nido e strutture per l’infanzia,
promozione di genitorialità, sostegni per la non autosufficienza, servizi a chi
è portatore di disabilità, un sistema di ammortizzatori sociali e di formazione
permanente per accompagnare il lavoratore e tutelarlo dalla precarietà, un
sistema sanitario che assicuri universalità di prestazioni anche facendo leva
su forme di compartecipazione, politiche per l’inclusione e l’integrazione
sociale.
Vogliamo un’Italia che sappia crescere i suoi bambini e i suoi adolescenti
riconoscendo i loro diritti e rimuovendo ogni ostacolo sociale e culturale ad
una crescita sana e allo sviluppo della personalità.
Una società che preservi e tuteli i territori e gli spazi per l’infanzia e
l’adolescenza con asili nido e scuole zero-sei anni, programmi televisivi
pensati per bambini e adolescenti, città e territori progettati per i più piccoli,
servizi di sostegno per l’adolescenza, tutela da ogni forma di abuso e
violenza, innalzamento dell’obbligo scolastico.
Vogliamo un’Italia nella quale chi ha i capelli bianchi viva la sua età matura
come una “età libera” senza l’angoscia della solitudine, dell’indigenza, della
emarginazione. E, dunque, una società solidale che assicuri pensioni
dignitose; gradui l’età pensionabile in funzione del lavoro svolto; incentivi la
permanenza al lavoro; promuova servizio civile e attività di pubblica utilità a
cui ogni cittadino possa mettere a disposizione il ricco patrimonio di sapere,
competenza, affettività, esperienza di vita.
Vogliamo un’Italia che sappia accogliere e includere coloro che, da lontano,
vengono legalmente nel nostro Paese per ritrovare dignità e speranza e
contribuiscono con la loro fatica e la loro intelligenza alla ricchezza dell’Italia.
Non un Paese che accetta gli immigrati di giorno e vorrebbe farli sparire di
notte, li lascia senza permesso di soggiorno, senza casa, senza
ricongiungimenti familiari.
Un Paese che rispetta le differenze, le integra, riconosce diritti, rende cittadini
e, per questo, chiede a tutti con altrettanta convinzione rispetto dei doveri e
delle leggi.
Un Paese che contrasta con determinazione ogni forma di clandestinità,
illegalità e traffico di migranti.
Vogliamo un’Italia che promuova e sostenga le molte forme di impegno
civile, associazionismo partecipativo, solidarietà sociale, volontariato
internazionale, per realizzare una società fondata sulle relazioni umane, sulla
socializzazione delle esperienze e dei saperi per costruire su queste basi un
nuovo senso di appartenenza e di identità collettiva.
13. Con l’Europa per la pace e la giustizia
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia consapevole delle
responsabilità globali a cui ogni nazione è chiamata: nell’essere partecipe
della lotta al terrorismo e per la sicurezza; nel concorrere a prevenire e
fermare guerre e conflitti per promuovere pace; nel sostenere l’azione
dell’ONU e delle istituzioni internazionali e il multilateralismo; nel
promuovere il riconoscimento e la tutela dei diritti umani, sociali e civili nel
mondo; nel sostenere la ripresa di negoziati per il disarmo e la riduzione
della proliferazione nucleare; nell’assumere impegni concreti e coerenti per lo
sviluppo sostenibile e lotta alla povertà e al sottosviluppo; nel considerare
l’equilibrio ambientale del pianeta e la tutela dei suoi beni comuni una
priorità assoluta; nel favorire dialogo interculturale e interreligioso.
Con il Partito Democratico vogliamo un’Italia che pensi il proprio futuro in
un’Europa unita nell’economia e nella politica.
Un’Europa che sia attore globale del mondo, parli con una voce sola e
concorra a promuovere democrazia, riconoscimento dei diritti, dialogo tra
culture, religioni e civiltà, politiche di cooperazione e partenariato
internazionale.
Un’Europa che sia partner dei processi di integrazione che maturano in
America Latina, Asia e Africa e che senta la responsabilità di sottrarre gli Stati
Uniti all’isolazionismo e alla solitudine imperiale, per ripristinare tra le due
sponde dell’Atlantico comuni visioni e comuni azioni, essenziali per il
destino del mondo.
Un’Europa che, dopo aver vinto la sfida della moneta unica, adesso persegua
uno sviluppo fondato su ricerca, innovazione, sapere, lungo le scelte
dell’Agenda di Lisbona.
Un’Europa consapevole di rischi ambientali enormi a cui è esposto il pianeta,
operi per tutelarne il destino e sia attivamente impegnata nell’applicazionme
del protocollo di Kyoto.
Un’Europa che torni a essere percepita come un’opportunità in più e non –
come hanno pensato i cittadini francesi e olandesi votando no alla
Costituzione europea - come una minaccia e un rischio.
Un’Europa capace di integrare e includere, completando la sua unificazione
con l’allargamento alla Croazia, ai Balcani e alla Turchia.
Per costruire questa Europa – a 50 anni dai Trattati di Roma – occorre
rilanciare con forza il processo di adozione del Trattato Costituzionale
europeo, promuovendo tutte le forme possibili di coinvolgimento dei
cittadini europei.
Vogliamo un’Italia capace di cogliere il ruolo centrale e strategico che il
Mediterraneo è venuto assumendo con lo spostamento dei grandi traffici
dall’Atlantico all’Asia, offrendo così al nostro Paese – e in primo luogo al
Mezzogiorno – la straordinaria opportunità di riscoprire la sua antica
vocazione di porta verso l’Oriente e dell’Oriente in Europa e di diventare la
principale piattaforma logistica del Mediterraneo, al centro di un crocevia che
dal Balcani al Mondo Arabo arriva fino all’Africa e all’Asia.
Vogliamo un’Italia che sappia valorizzare pienamente il ruolo, le potenzialità
e i diritti degli italiani nel mondo. Le comunità italiane nel mondo sono una
preziosa risorsa per l’Italia ed i nostri connazionali all’estero hanno mostrato,
anche nelle elezioni dell’aprile scorso, con un’ampia partecipazione al voto ed
esprimendo un consenso maggioritario e decisivo all’Unione, una chiara
volontà di partecipare all’opera di rinnovamento del Paese.
14. Un partito europeo
Con il Partito Democratico noi vogliamo pensare il futuro dell’Italia in
Europa e in un orizzonte, mondiale collocandosi entro un sistema di relazioni
che consenta al nostro Paese di svolgere un ruolo sulla scena internazionale e
incidere nelle scelte che lì si operano.
La storia del nostro continente ci consegna uno scenario politico nel quale per
un verso i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti costituiscono di gran
lunga la fondamentale e più grande famiglia riformista europea; e peraltro la
trasformazione del Partito Popolare Europeo in direzione conservatrice ha
sollecita forze riformiste cristiano sociali, cattolico democratiche,
liberaldemocratiche a ricercare nuove collocazioni.
Si pone, dunque, anche in Europa l’opportunità di unire diverse esperienze
riformiste. E il Partito Democratico nasce anche per concorrere a rinnovare il
riformismo europeo e unirlo.
In questo sta il valore del Congresso del PSE di Porto, dal quale è venuto un
sostegno esplicito e convinto al progetto del Partito Democratico, considerato
una sfida storica per l’Italia, ma anche una scelta che può cambiare la politica
europea e i suoi assetti. E un contributo a rinnovare e unire il riformismo
europeo.
E in questa chiave appare chiaro quanto la modifica statutaria – con cui il PSE
allarga suoi orizzonti a partiti “progressisti e democratici” – non sia una
scelta burocratica, ma di forte valore politico che il Partito democratico deve
saper cogliere.
Proprio l’amplissima rappresentatività della famiglia socialista, infatti, dice
che è nell’ambito del PSE e della famiglia socialista che il Partito Democratico
dovrà operare per giocare un ruolo rilevante sullo scenario europeo e
internazionale e per il comune obiettivo di costruire un campo progressista
più ampio.
D’altra parte i partiti socialisti e socialdemocratici di oggi non sono più da
tempo i partiti della II Internazionale, ma tutti – dal Labour di Tony Blair al
PSOE di Gonzales e Zapatero, dal socialismo francese di Mitterrand e
Segolene Royal al Pasok di Papandreou, ai socialdemocratici nordici e
tedeschi – hanno maturato via via una evoluzione politica e culturale che ha
fatto loro assumere il profilo di grandi forze di centrosinistra, dentro cui si
ritrovano le molte sensibilità che si ritrovano in Italia nell’Ulivo.
E anche sul piano mondiale l’Internazionale Socialista è da tempo
un’organizzazione aperta e plurale che, accanto a partiti socialisti e
socialdemocratici, vede un’ampia presenza di soggetti progressisti e
democratici di diversa ispirazione, tra cui il National Democratic Institute – la
Fondazione dei Democratici americani – dal 2003 membro associato
dell’Internazionale Socialista e da tempo in rapporti strutturati di
collaborazione con il PSE.
A chi si unisce a noi nel Partito Democratico provenendo da un’altra storia
non chiediamo, dunque, di riconoscersi ideologicamente e astrattamente nella
socialdemocrazia. Chiediamo di essere pienamente parte di un comune
impegno con la famiglia socialista democratica e con un PSE che già oggi è
più ampio e aperto, per costruire una stagione nuova del riformismo anche in
Europa.
PARTE III - DALL’ULIVO AL PARTITO DEMOCRATICO
Forti dell’esperienza dell’Ulivo vogliamo costruire il Partito Democratico con una
straordinaria stagione di partecipazione democratica, di apertura alla società, di
mobilitazione civile, capace di parlare all’Italia intera e di offrire un volto nuovo alla
politica italiana.
Nel Partito Democratico vogliamo unire le diverse forze politiche che si richiamano al
riformismo e alle sue esperienze e, contemporaneamente, la vasta rete
dell’associaizonismo democratico e quell’ampia opinione pubblica che in questi anni
si è riconosciuta nell’Ulivo, è stata protagonista delle Primarie, si è raccolta intorno a
Sindaci e figure istituzionali, ha dato vita a un ricco tessuto di esperienze sociali,
culturali, civiche.
Questa capacità di saldare organizzazione politica e partecipazione democratica dovrà
caratterizzare anche la fase della transizione dall’attuale Ulivo al Partito
Democratico, realizzando nella fase costituente l’incontro delle esperienze e identità
dei soggetti costituenti con l’innovazione politica su cui nasce il Partito Democratico.
15. L’Ulivo
L’Ulivo è nato come un’alleanza, elettorale e politica, tra partiti, ma anche
come un movimento dal basso, capace di parlare unitariamente alla società
italiana e di raccogliere vasti consensi tra gli elettori andando al di là, per la
prima volta nella storia politica italiana, della somma dei consensi dei partiti
che lo costituivano.
In questi dieci anni, questa idea forte ha fatto molta strada.
In tutti i nostri congressi abbiamo votato, spesso all’unanimità, mozioni e
ordini del giorno che esprimevano la nostra disponibilità a cessioni o
condivisioni di sovranità dai partiti all’Ulivo.
Alle elezioni europee e alle elezioni regionali ci siamo presentati, insieme alla
Margherita, allo Sdi e ai Repubblicani europei sotto il simbolo unitario “Uniti
nell’Ulivo”, raccogliendo i voti di un terzo del Paese.
Alle primarie per la scelta del candidato premier – che con 4 milioni e 300
mila partecipanti sono un risultato unico nella storia della democrazia
italiana e non solo italiana – ci siamo riconosciuti nella candidatura del
leader dell’Ulivo, Romano Prodi, votato da più dell’80 per cento di quella
immensa platea.
Alle elezioni politiche ci siamo nuovamente presentati alla Camera uniti sotto
il simbolo dell’Ulivo, raccogliendo un consenso superiore ai voti raccolti da
DS e Margherita per l’elezione del Senato.
Ed anche rispondendo a questa chiarissima sollecitazione del nostro
elettorato, abbiamo dato vita a Gruppi parlamentari dell’Ulivo sia alla
Camera che al Senato e ci siamo presentati con il simbolo dell’Ulivo nelle
elezioni amministrative delle grandi città, vincendo e costituendo anche lì i
gruppi consiliari dell’Ulivo.
E proprio perché abbiamo alle spalle l’esperienza dell’Ulivo, dunque, che
oggi possiamo andare ancora oltre, ponendoci l’obiettivo ambizioso di far
nascere il Partito Democratico.
Una unità che vogliamo realizzare con la consapevolezza che nessuna forza
politica riformista – neanche i DS che pure sono il principale partito di
centrosinistra – può farcela da solo.
La stessa forma della Federazione dell’Ulivo – che deliberammo nel nostro
precedente Congresso – appare oggi fragile e inadeguata alla necessità storica
di dare una guida forte al cambiamento di cui l’Italia ha bisogno e alle stesse
aspettative di unità e innovazione che vengono da tanta parte della società
italiana.
16. Unire politica e società
Il Partito Democratico nasce su proposta di Romano Prodi e per volontà dei
Democratici di Sinistra e della Margherita.
L’intesa tra queste due forze è indispensabile, ma non sufficiente.
Unire il riformismo italiano significa coinvolgerne tutte le espressioni
politiche e culturali: socialiste, cattoliche, repubblicane, laiche e ambientaliste.
In particolare è nella dimensione ampia e unitaria del Partito Democratico
che può trovare soluzione quella “questione socialista” apertasi con la crisi
dell’inizio degli anni ’90.
D’altra parte non si può pensare di unire il riformismo italiano senza
l’apporto di quella grande storia politica che – da Matteotti a Buozzi, da
Saragat a Nenni, da Morandi a Lombardi, da Pertini a Brodolini, da De
Martino a Craxi – ha rappresentato un filone culturale e politico essenziale
della sinistra riformista italiana.
E, anzi, siamo convinti che la realizzazione di una forte “unità socialista” tra
tutte le forze che oggi si richiamano ai valori del socialismo democratico –
DS, SDI e altre organizzazioni di ispirazione socialista – irrobustirebbe il peso
e il ruolo della sinistra e dei suoi valori nella costruzione del Partito
Democratico.
Così non meno significativo è l’apporto di quella cultura riformista
liberaldemocratica, azionista e repubblicana che – da Gobetti a Ernesto Rossi,
da Spinelli a Ugo La Malfa – ha rappresentato la coscienza critica e laica della
società italiana.
Ed è importante che ai filoni storici del riformismo italiano si accompagnino
nuove culture essenziali per un riformismo che guarda al futuro.
La cultura ecologista, con il suo apporto fortemente innovativo, che deve
essere uno dei tratti distintivi di una nuova politica riformista.
Le culture femminili e di genere, il vasto mondo della solidarietà e
dell’associazionismo democratico divenute riferimento per giovani e settori
significativi della società italiana.
E, contemporaneamente, serve un’apertura a saperi, competenze, esperienze
che nel riformismo e nei suoi valori di progresso si riconoscono, al di là dei
partiti. C’è una società civile ricca di passione e voglia di cambiamento che
spesso non si sente rappresentata ed è pronta a mobilitarsi e a fare la propria
parte.
Insomma: serve un “processo aperto” capace di suscitare passioni, mobilitare
energie, promuovere impegno civico, parlare ai tanti – in primo luogo
giovani – che sentono l’urgenza di liberare il proprio paese e la propria vita
dalle insidie dell’insicurezza e della precarietà.
17. Un partito democratico e popolare
Il Partito Democratico, vuole essere anche una risposta alla crisi della politica.
Tutti avvertiamo la difficoltà dei partiti – anch’essi figli dell’organizzazione
sociale fordista del ‘900 – a rappresentare adeguatamente domande di
mobilità sociale, valorizzazione del merito, riconoscimento del protagonismo
femminile, rinnovamento generazionale.
E la stessa possibilità di approdare a un bipolarismo maturo, ad una
democrazia trasparente, a uno Stato effettivamente federalista dipende non
solo da una nuova legge elettorale e dalle riforme istituzionali, ma anche
dalla esistenza di un grande soggetto riformista che guidi l’innovazione del
sistema politico, valorizzando la ricchezza delle specificità territoriali e
regionali.
E, dunque, serve un “partito nuovo” anche nella forma, superando la falsa
contrapposizione “sezioni o gazebo” perché in realtà abbiamo bisogno di
entrambi, saldando radicamento e militanza attiva con forme nuove di
partecipazione che coinvolgono in modo continuativo e stabile una gran
parte di quella cittadinanza che vuole essere partecipe della politica.
Vogliamo costruire un partito: con centinaia di migliaia di aderenti, perché
solo così sarà rappresentativo della società italiana; con strutture di base
presenti in ogni comune italiano; con un’attività permanente che non si limiti
alle sole campagne elettorali; con radici sociali robuste e consenso elettorale
vasto; capace di promuove effettive parità tra donne e uomini in tutte le
istanze politiche e istituzionali; a vocazione maggioritaria e sperimentata
cultura di governo; con capacità di formazione e selezione di nuove leve di
dirigenti e amministratori; con gruppi dirigenti riconosciuti e forte
valorizzazione delle figure istituzionali, nazionali e locali; con forme e statuti
che tengano conto dell’architettura federalista dello Stato.
E questo partito sarà tanto più capace di rappresentare la società se sarà
“aperto e democratico”, espressione di una cittadinanza attiva, prevedendo
nel suo Statuto: le primarie per selezionare le candidature; consultazioni
referendarie di iscritti e elettori su scelte di valore strategico; voto segreto per
gli incarichi direttivi; termini di mandato per promuovere nuove classi
dirigenti; assise programmatiche annuali; forme di collegamento e
partecipazione – forum, centri di ricerca, consulte, fondazioni – aperte a
saperi e competenze della società.
E dovrà essere un partito pluralista, capace di riconoscere e valorizzare le sue
diverse culture e sensibilità e di unirle in un progetto riformista comune.
Con il Partito Democratico vogliamo promuovere anche una nuova classe
dirigente, aperta all’innovazione, selezionata su merito ed esperienza,
evitando promozioni e cooptazioni prive delle necessarie capacità.
Una classe dirigente generosa verso i giovani.
Una classe dirigente competente, in grado di prendere decisioni con coraggio
e senso di condivisione, con senso di legalità e di responsabilità pubblica, in
grado di ripristinare fiducia nel rapporto con i cittadini e di invertire un
concetto di pubblico interesse che la destra ha fatto scadere a spazio utile a
soli interessi privati.
Ed è parte di questa radicale innovazione anche un modo nuovo di concepire
la politica, di organizzarla, di praticarla affermando il primato dell’interesse
generale, il rispetto dell’autonomia delle istituzioni, il rigore etico e civile, la
coerenza dei comportamenti, la trasparenza e la sobrietà dei costi della
politica.
Quella alta lezione morale che Enrico Berlinguer ci ha lasciato in eredità.
18. La fase costituente
L’obiettivo è che il Partito Democratico sia un “partito”, e non una semplice
federazione di partiti.
Al nostro 4° Congresso proporremo perciò di “dare mandato al Segretario
nazionale e agli organi dirigenti di impegnare i Democratici di Sinistra e tutte
le loro strutture nel processo costituente del Partito Democratico”.
E proponiamo agli iscritti la rielezione a Segretario nazionale dei Democratici
di Sinistra di Piero Fassino che in questi anni ha guidato i DS e contribuito in
prima persona ai successi del centrosinistra e dell’Ulivo.
Vogliamo che il processo costituente si realizzi utilizzando appieno
l’esperienza e le relazioni di cui sono portatori le diverse identità politiche e
le faccia incontrare nel partito nuovo, secondo il percorso che scandisca via
via la costruzione del nuovo partito: nei congressi del 2007 i partiti deliberano
di dare vita alla fase costituente del Partito Democratico insieme agli altri
soggetti associativi; a partire da quei congressi si avviino subito le procedure
per la convocazione dell’Assemblea Costituente in cui approvare il Manifesto
ideale e politico e Statuto del futuro nuovo partito; promuovere sul Manifesto
e sullo statuto un’ampia consultazione democratica degli elettori e della
società italiana; nel percorso costituente i partiti vivono e operano
accompagnando la costruzione del nuovo partito che via via organizza le sue
strutture, la sua azione politica e i suoi organi; l’obiettivo finale è dar vita al
Partito Democratico – compiutamente costituito e sovrano – entro l’orizzonte
temporale massimo delle elezioni europee del 2009.
19. I valori della sinistra in un riformismo più grande
Sono queste le scelte cruciali che stanno di fronte a noi.
Non ignoriamo, naturalmente, interrogativi, dubbi, inquietudini e
contrarietà, che muovono da sentimenti sinceri.
Anzi, il Congresso dovrà consentire un confronto aperto e libero, in cui
ciascuno possa non solo affermare le proprie ragioni, ma ascoltare le ragioni
altrui.
Possiamo condurre questa discussione in modo unitario e aperto perchè
sicuri della nostra identità, di partito della sinistra riformista, riconosciuto
come tale in Italia, in Europa e nel mondo.
E possiamo accingerci ad unirci ad altri riformismi perché già nei Democratici
di Sinistra ci siamo aperti all’incontro con donne e uomini provenienti da
culture socialiste, repubblicane, ambientaliste, liberaldemocratiche e cristiano
sociali.
La scelta di oggi è coerente con il profilo di una forza di sinistra, che si
riconosce nei valori del riformismo socialista e socialdemocratico e si propone
di farli incontrare con altri riformismi costruendo un comune progetto di
progresso, di emancipazione, di solidarietà, di libertà.
Tutti siamo orgogliosi della nostra storia e tutti siamo mossi dalla volontà di
dare alla sinistra, ai suoi valori, alle sue idee il più grande slancio e di farle
assolvere – come in ogni passaggio cruciale della storia italiana – una
funzione dirigente nazionale.
Anzi, è proprio la consapevolezza di quale straordinario giacimento di risorse
morali e intellettuali sia il nostro partito e di quanto vasto e diffuso sia il
credito dei Democratici di Sinistra a spingerci in questo nuovo viaggio, con la
nostra ispirazione socialista nel mondo nuovo di questo secolo.
I Democratici di Sinistra non solo non smarriscono le loro ragioni e il senso
del loro esistere, ma proprio perché forti di principi e ideali grandi possono
ambire a un riformismo alto e nuovo, capace di imprimere alla
contemporaneità il segno della sinistra e dei suoi valori.
L’Italia è, ancora una volta, di fronte ad un passaggio storico.
Spetta a chi si batte per un mondo più libero e più giusto, spetta a noi,
restituire all’Italia e agli italiani speranze, certezze, fiducia.
lunedì 22 gennaio 2007
Un confronto aperto, libero, vero
Un confronto aperto, libero, vero
Relazione introduttiva del segretario dei Ds Piero Fassino alla Direzione nazionale
Come le compagne e i compagni sanno la direzione di oggi è convocata per esaminare e approvare il regolamento congressuale e la definizione dei tempi di svolgimento del Congresso sulla base della decisione che il consiglio nazionale del nostro partito ha preso il 13 dicembre scorso di convocare il quarto Congresso Nazionale dei Ds per la primavera prossima. Prima di dare la parola a Migliavacca per illustrare il regolamento e le relative proposte io vorrei sottoporre ai compagni alcune brevi considerazioni politiche soprattutto in relazione alla rappresentazione dei Democratici di Sinistra sia venuta dando soprattutto su alcuni organi di stampa in questi giorni, offrendo agli italiani l’immagine di un partito che sarebbe allo sbando, in crisi, manifesterebbe processi di disgregazione, ora io non credo che lo stato del partito sia questo e penso che queste rappresentazioni siano caricaturali e devianti.
Non lo dico solo perché sono segretario dei Democratici di Sinistra, questa è la direzione del partito, qui ci sono i dirigenti che ogni giorno dirigono questo partito e che sanno bene quanto questo partito ogni giorno sviluppi in tante città e comuni del paese un’intensa attività politica, quanto questo nostro partito assolva ogni giorno responsabilità di governo e di amministrazione locale, quanto il nostro partito sia un punto di riferimento ogni giorno per l’azione politica di tanti. Prova ne sia che il tesseramento 2006 che si è concluso in queste settimane, registra più iscritti di quanti ne avessimo nel 2005, prova ne sia che chiunque di noi partecipi in queste settimane, in questi mesi a iniziative ritrova ovunque una partecipazione alta e forte e una volontà di essere protagonisti di questa nuova stagione politica che si è aperta con la formazione del governo di centrosinistra, prova ne sia che in questi mesi noi abbiamo prodotto processi di rinnovamento dei gruppi dirigenti del nostro partito che non sono soltanto un fatto anagrafico, perché quando ci sono 15 segretari regionali su 20 che hanno meno di 45 anni e 60 segretari su 120 provinciali che hanno meno di 40 anni non è soltanto un dato anagrafico questo, è un dato qualitativo di un partito che ha saputo far crescere una leva di dirigenti, una generazione di classe dirigente nuova che sta via via assumendo nelle proprie mani il partito e anche questo è un segno di vitalità di forza, di radicamento.
Mi pare cioè che sia evidente che nella rappresentazione che viene data in queste settimane in questi giorni dal nostro partito c’è un tentativo di delegittimazione dei Ds del loro ruolo. Le ragioni per cui viene condotta questa azione possono essere molteplici naturalmente, non sfugge a nessuno che per esempio c’è chi enfatizza ogni oltre misura la dialettica all’interno del centrosinistra tra radicali e riformisti, perché se se ne dimostra l’inconciliabilità, dall’inconciliabilità deriva come un crollario la necessità di nuovi scenari politici. Così come non c’è dubbio che probabilmente c’è qualcuno che accarezza l’idea di configurare il centrosinistra con assetti diversi da quelli che lo caratterizzano oggi. Forse c’è anche chi pensa che il partito democratico si può far nascere meglio soltanto se passa attraverso una crisi dei Democratici di Sinistra.
Comunque, quali che siano le ragioni di queste azioni di questa campagna, io non credo che noi possiamo accettare una rappresentazione dei Ds che è lesiva prima di tutto dei nostri iscritti, dei nostri militanti dei nostri elettori. Di coloro che ogni giorno con una dedizione, una generosità straordinaria rappresentano il nostro partito in mille luoghi di questo Paese e con la loro generosità, la loro dedizione danno ogni giorno credito al nostro partito. I Ds sono stati una forza centrale dal 2001 al 2006 per ricostruire un centrosinistra uscito sconfitto dalle elezioni di cinque anni fa, unirlo per rilanciare un’Ulivo che anche esso appariva smarrito e i Ds lo hanno fatto con passione generosità, caratterizzandosi come la forza che più ha creduto ogni momento nell’unità del centrosinistra e dell’Ulivo, e questa nostra attenzione unitaria è stata ragione non ultima del recupero di credito di consenso che il nostro partito in questi cinque anni ha realizzato. E anche oggi non credo che possa portare lontano l’idea che si possa costruire il Partito Democratico con un partito dei Democratici di Sinistra in difficoltà o in crisi, al contrario. Una forte presenza dei Democratici di Sinistra nel processo di costruzione al partito democratico è una delle condizioni decisive perché quel progetto possa realizzarsi. E l’obiettivo nostro di far vivere una sinistra moderna e riformatrice dentro un processo politico e un progetto politico di unità del riformismo italiano io credo debba essere non solo riconfermato, ma viene confermato anche dall’osservazione di quelle che sono state le dinamiche politiche e istituzionali di questi primi sei mesi di governo. Per questo io penso dobbiamo sottrarci tutti alla tentazione di concedere a rappresentazioni che se dovessero prendere piede deligittimerebbero non qualcuno ma tutti, e credo che è nostra responsabilità difendere l’autonomia, la dignità, il ruolo, la funzione di questo nostro partito. Dire questo non significa affatto naturalmente non sapere che siamo in un passaggio molto delicato della vita politica italiana, della vita della coalizione e anche del nostro partito.
Da sei mesi siamo impegnati in due sfide ambiziose, esprimere un governo dell’Italia che sia all’altezza delle molte aspettative che si sono suscitate nel Paese, dare a questo Paese e alla politica italiana una grande forza democratica, riformista, progressista che rappresenti il soggetto politico capace di guidare l’alleanza di centrosinistra di traghettare l’Italia dalla condizione di incertezza di crisi in cui l’ha precipitata il centrodestra ad una nuova stagione di stabilità, crescita e sviluppo. E dunque siamo consapevoli - credo tutti, lo è certamente per primo il segretario del partito - che ai disagi agli interrogativi, ai dissensi, alle obiezioni che possono maturare nel nostro elettorato, nel corpo del nostro partito, nell’opinione pubblica, abbiamo la necessità di dare delle risposte convincenti. Risposte convincenti che possiamo dare in modo tanto più credibile in quanto difendiamo con grande forza ruolo e funzione nazionale del nostro partito.
D’altra parte proprio questa consapevolezza ci ha spinto e ha spinto in particolare me, ma non solo me, nelle scorse settimane ad esprimere più volte pubblicamente una sollecitazione alla maggioranza di governo e al governo per una azione di governo che fosse vigorosa e coerente con le aspettative degli italiani. Quando abbiamo insistito e continuiamo ad insistere sulla necessità che quella politica economica e sociale che è stata avviata con la finanziaria adesso prosegua con un programma ambizioso di riforme che aggrediscono i nodi strutturali sia della spesa che della crescita, non lo abbiamo fatto e non lo facciamo certo per accentuare una competizione, una conflittualità tra riformisti e radicali, ma al contrario, perché siamo convinti che soltanto con un programma di riforme che aggrediscano le vere fragilità e contraddizioni che il Paese di porta dietro da lungo tempo, sarà possibile tenere insieme modernizzazione del Paese e equità sociale. E ci siamo battuti e continuiamo a batterci perché sia così. E la valutazione che noi diamo del vertice di Caserta è che dal quel vertice in ogni caso è uscito un programma di impegni e di riforme che punta a trasformare la ripresa in sviluppo e crescita duratura che punta a fare del 2007 esattamente come ha detto Prodi nella conferenza stampa di fine anno, l’anno della svolta, ma proprio perché crediamo in quell’impegno e lo condividiamo pensiamo che a maggior ragione il 2007 sarà l’anno della svolta se noi sapremo esprimere un’azione di governo forte, vigorosa, incisiva e il programma di riforme deciso a Caserta, da quella sulla previdenza al mercato del lavoro, dal programma di liberalizzazione alla ripresa di un’iniziativa forte su scuola, ricerca e università, dalla riforma del pubblico impiego alle questioni connesse alla modernizzazione infrastrutturale all’emergenza ambientale, ecco queste questioni che costituiscono diciamo la griglia delle priorità fondamentali là discusse, noi consideriamo debbano essere perseguite con grande determinazione e che così dia il senso di un impianto di governo forte, efficace e capace di corrispondere le esigenze del Paese.
Con la stessa determinazione pensiamo che vadano affrontate le questioni relative ai diritti della persona e alle questioni etiche, sapendo che si tratta di materie come tutti sappiamo di estrema delicatezza che proprio la complessità e la delicatezza della materia consiglia di agire per la ricerca della massima condivisione con l’obiettivo in ogni caso di arrivare a provvedimenti di carattere normativo che siano capaci di corrispondere a risposte adeguate a temi su cui c’è una diffusa sensibilità nella società italiana. E così con la stessa consapevolezza della necessità di dover condurre l’Italia fuori da una transizione politico istituzionale da troppo lungo tempo incompiuta, abbiamo rilanciato e vogliamo agire sul terreno istituzionale perché si riprenda un percorso di riforme e si affronti anche il nodo della riforma elettorale.
Con la stessa tensione e ambizione noi vogliamo affrontare la discussione che sarà al centro del Congresso, sulle prospettive del Paese, la costruzione di un grande Partito Democratico. Di questo abbiamo discusso ampiamente e ovviamente non ripropongo a voi qui la discussione che ha scandito il nostro confronto i mesi scorsi fino la consiglio nazionale del 13 dicembre che sarà al centro del congresso. Ricordo soltanto per titoli che abbiamo posto a noi stessi e al sistema politico e alla società italiana l’obiettivo di costruire il Partito Democratico non come una necessità dei partiti, ma come una necessità del Paese. Che il progetto che abbiamo in animo punta a dare all’Italia una grande forza democratica riformista, progressista capace di esprimere un pensiero riformista nuovo per un secolo nuovo. Che puntiamo a un grande soggetto che sia capace di unire i riformismi, quelle culture e esperienze che nel corso del 900 a lungo sono state separate e divise che oggi possono unirsi perché già nell’Ulivo hanno avuto un luogo nel quale si sono riconosciute e hanno cominciato a costruire una lettura comune della società italiana, una comune progettualità politica e al tempo stesso vogliamo lavorare a un soggetto che unendo i riformismi non si limiti a unire i soggetti politici che lo esprimono, ma sia capace di aprirsi alla società.
Così come vogliamo costruire un partito che tenga insieme forte radicamento e capacità di organizzazione dei cittadini con una dimensione democratico partecipativa che consenta ai cittadini di avere un rapporto con la politica più aperto, più libero, più partecipato di quanto non sia avvenuto fin qui.
Un partito che sia collocato là dove sul piano internazionale sono i riformisti, ed è a partire da questa considerazione che abbiamo sempre considerato e consideriamo irrinunciabile il rapporto che si dovrà stabilire tra il Partito Democratico e la famiglia socialista europea e internazionale. Infine appunto un progetto che punta a far vivere le idee della sinistra in un progetto di unità del riformismo italiano per realizzare un obiettivo che nel corso del 900 non è stato possibile e cioè a un riformismo che è plurale nelle culture dare una rappresentanza politica unitaria.
Di questo discuteremo nel congresso. Abbiamo proposto un percorso che è coerente con un processo graduale e progressivo di costruzione del nuovo soggetto politico.
Con il congresso di aprile noi sottoporremo ai nostri iscritti la proposta di deliberare che i Democratici di Sinistra mettano la loro forza a disposizione della costruzione del progetto del Partito Democratico. E che dunque l’impegno dei prossimi anni sia finalizzato alla costruzione di un nuovo soggetto politico. La cui nascita non è dunque l’atto primo del percorso costituente, ma è l’atto finale del percorso costituente. Il che significa che non andiamo a proporre al congresso del nostro partito alcuna forma di scioglimento dei Democratici di Sinistra, ma al contrario andiamo a proporre che i Democratici di Sinistra con la loro organizzazione, la loro forza, le loro strutture, le loro idee, i loro gruppi dirigenti concorrono a realizzare questo nuovo progetto politico. Un Congresso finito che io penso debba essere mosso da un’attenzione unitaria, il che naturalmente non significa affatto un Congresso che non sia caratterizzato da un pluralismo aperto e libero di confronto e di opzioni come è già avvenuto nei congressi precedenti del nostro partito. Il consiglio nazionale ha deciso nella riunione del 13 dicembre che il Congresso si tenga entro la primavera, d’altra parte è stato sollecitato più volte da settori diversi del nostro partito, di poter disporre rapidamente di una sede congressuale nella quale i nostri iscritti potessero discutere di questo progetto e deliberare e quindi credo che la decisione del consiglio nazionale corrisponda a queste esigenze.
Al centro del Congresso metteremo l’Italia e il suo futuro, il progetto di unire i riformisti per dare all’Italia una guida forte che guidi il Paese in una fase nella quale il Paese è chiamato a ridefinire i caratteri della sua costituzione materiale e formale, e il ruolo centrale che i democratici di sinistra dovranno giocare e assolvere in questo progetto. È una grande occasione di dibattito, di discussione.
Tutti avvertiamo che non si tratta di un Congresso ordinario, ma di grande discussione nel partito, di grande discussione insieme agli altri soggetti politici e sociali interessati a questo progetto, di grande confronto e discussione nella società e dovremmo costruire tutto questo percorso congressuale con questi caratteri. Gli iscritti saranno chiamati a votare le mozioni che saranno sottoposte e il segretario del partito, oltre che ai diversi livelli, gli organi dirigenti e i delegati ai livelli congressuali superiori. Dirà Migliavacca quali sono le proposte che la commissione per il Congresso ritiene di avanzare su questo punto così come su le altre modalità di svolgimento del Congresso. Io credo che abbiamo tutti consapevolezza che siamo in un passaggio importante, cruciale, decisivo, non solo per la vita del nostro partito, ma per la politica italiana e per l’Italia. E credo che abbiamo tutti la consapevolezza dunque che abbiamo bisogno di fare un Congresso che sia all’altezza di questa importanza e faccia svolgere al nostro partito fino in fondo quella funzione nazionale e quel ruolo che storicamente il nostro partito ha sempre giocato in passaggi cruciali della vita del Paese. Abbiamo bisogno di un Congresso che sia caratterizzato da un confronto aperto, libero, vero, sincero come sempre accade nelle nostre discussioni, l’apertura del confronto, la libertà del confronto, la sua sincerità non è affatto contraddetto dall’essere capace di realizzare una tensione unitaria che sia fondata su una forte solidarietà e sulla consapevolezza che quale che siano le posizioni che ogni compagno e ogni compagna nel dibattito esprimerà, tutti siamo corresponsabili solidalmente di un’impresa comune che si batte per un destino comune e che tutto questo comporta che insieme creiamo le condizioni perché il Congresso sia davvero una grande occasione di dibattito democratico e sia una grande occasione messa a disposizione non soltanto di noi stessi ma del Paese. Grazie.