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sabato 1 aprile 2006

l’Italia si è liberata dell’incubo Berlusconi

 

Non le sfugge, naturalmente, che per le strade gira anche chi continua a votare centrodestra, quasi la metà del corpo elettorale…
«Certo, non mi sfugge. Le elezioni ci consegnano uno scenario complesso, molto diverso da quello che, ancora poche ore prima dello scrutinio, i sondaggi avevano delineato…».

Come lo spiega?
«La campagna elettorale è stata caratterizzata da uno scontro politico molto aspro che ha prodotto una mobilitazione del corpo elettorale più vasta di qualsiasi altra consultazione precedente. Le cito un dato: nel 2001 astensioni e schede bianche ammontavano a tre milioni. Nel 2006 sono scese a un milione. Gli italiani che hanno votato sfiorano i 39 milioni, la più alta cifra di voti validi da tempo immemorabile…».

Aveva ragione Berlusconi a sostenere che un'alta percentuale di votanti avrebbe favorito la Cdl?
«Avrebbe avuto ragione se avesse vinto, ma così non è. C'è stato un vastissimo afflusso alle urne e ha vinto il centrosinistra. In ogni caso, quanto più alta è la partecipazione al voto, tanto più è solido il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. L'altissimo numero di elettori, però, deve indurci ad analizzare il voto partendo dalle cifre assolute, più che dai dati percentuali. Vorrei fare l'esempio dei Ds…».

Il dato dei Ds non era quello che vi attendevate…
«Arriverò anche a questo. Parto da una premessa. Il risultato ottenuto dal mio partito non può essere valutato comparando il 17,5% del Senato con il 16,2% della Camera di cinque anni fa. La platea elettorale è cambiata in maniera consistente dal 2001. E, a parte l'improprietà di comparare il Senato alla Camera, dove votano i giovani dai 18 ai 25 anni che questa volta si sono pronunciati in gran parte per l'Ulivo e che in buona parte avrebbero votato per il nostro simbolo. A parte questo, dicevo, sono le cifre assolute che danno il segno. E questo per via del livello di partecipazione enormemente più alto nel 2006 di quello delle politiche del 2001, delle amministrative, delle regionali, delle provinciali e delle europee».

E cosa dicono le cifre assolute?
«Dicono che i Democratici di sinistra prendono più voti di quelli che hanno avuto da quando nacque il Pds, con la sola eccezione del 96. I Ds sono il primo partito del centrosinistra in 18 regioni su 20 e in molte regioni, poi, siamo in assoluto la prima forza politica».

Berlusconi veniva dato per sconfitto. Come ha fatto a recuperare sfiorando la vittoria?
«La sua campagna elettorale ha prodotto un ricompattamento consistente dell'elettorato di centrodestra. Berlusconi ha conseguito questo obiettivo con una legge congegnata appositamente per rompere ogni rapporto tra territorio e Parlamento, con la sparizione dei collegi, e per tagliare l'identificazione tra elettori ed eletti, con l'abolizione delle preferenze. Così ha scardinato due punti tradizionalmente favorevoli al centrosinistra, il peso dell'organizzazione politica diffusa nel territorio e il ruolo dei candidati, mediamente più credibili di quelli del centrodestra».

Quanto ha pesato la tv?
«È l'altra faccia della medaglia. Quella legge elettorale, infatti, ha consentito a Berlusconi di costruire un rapporto diretto di tipo populistico, leader-popolo, mediato dalla televisione. E in questa campagna elettorale gran parte del rapporto tra politica ed elettori è passato attraverso la tv».

Ha cambiato campo, cercando di giocare la partita in casa, in sostanza…
«Proprio così: con quella legge ha modificato il terreno della competizione elettorale, per averne uno più favorevole…».

E senza la par condicio avrebbe fatto bingo?
«Se l'avesse abolita avrebbe giocato in 22 senza alcun arbitro. Ma c'è stato un altro elemento che ha consentito un recupero al centrodestra».

Quale?
«Una volta costruito un rapporto diretto con il popolo, Berlusconi ha avuto la capacità di veicolare messaggi che parlassero all'Italia profonda, a quella più facilmente mobilitabile facendo leva sulla paura, sull'ansia. E i suoi messaggi erano un impasto tra interesse immediato e ideologia. "Attenzione, arrivano loro e vi toccano la roba e ve la toccano perché sono comunisti". Un impianto che ha dimostrato una certa efficacia perché ha consentito a Berlusconi di compattare il suo elettorato e di recuperare chi, tra il 2002 e il 2005, aveva mostrato delusione astenendosi».

Resta il fatto che anche questa volta il centrosinistra non è riuscito ad entrare in contatto con quell'Italia profonda di cui lei parla. Non ha pesato anche una certa confusione sulle tasse?
«Certamente l'aver proposto misure fiscali in campagna elettorale ci ha esposto molto. Anche perché il tema delle tasse suscita paure, ansie e inquietudini non superabili soltanto con la razionalità politica. Queste elezioni ci confermano, comunque, che c'è una parte del Paese al quale non siamo riusciti ad arrivare. E ci dice quanti guasti ha prodotto il berlusconismo e la sua idea che tutto sia sempre riconducibile all'interesse particolare di ciascuno. Non è senza significato che abbia detto "non saranno tutti coglioni a votare contro i loro interessi..". Si è rivolto a un'Italia profonda facilmente mobilitabile con parole d'ordine che sollecitano la difesa degli interessi più minuti e concreti. Anche questa volta, come nel 2001, Berlusconi ha giocato principalmente sul tema delle tasse. Tasse come emblema di uno Stato lontano, nemico, espropriatore».

Nonostante questo, però, il centrodestra ha perso le elezioni.
«In realtà, Berlusconi non ce l'ha fatta perché è cresciuto in modo sempre più largo il rifiuto del suo modo di governare, dei suoi messaggi, dei modelli di comportamento, dello stile di vita che proponeva. Si è consolidato nel Paese il rifiuto di Berlusconi e del berlusconismo come modo di guardare al mondo e alla vita».

Il centrosinistra al governo avrà molto da fare e con maggioranze parlamentari non certo ampie…
«Sì, c'è molto da fare. Ma partiamo dal dato che il centrosinistra ha vinto conquistando moltissimi voti. Per l'Unione, complessivamente, hanno votato oltre 19 milioni di elettori, il più alto consenso elettorale dal 1994. Un esito ottenuto sia conquistando voti al centrodestra, sia recuperando una grande quota di astensioni. C'e stato, poi, un contributo straordinario del voto giovanile, tutti gli indicatori ci dicono che i giovani hanno votato in massa per l'Unione e per l'Ulivo».

Lei aveva spiegato che al successo dell'Ulivo avrebbe corrisposto l'accelerazione sul Partito democratico. Il 31% alla Camera consente questo traguardo?
«Il successo dell'Ulivo ha trainato il successo elettorale dell'intero centrosinistra. L'Ulivo conferma di essere in grado di raccogliere il voto di un terzo del corpo elettorale e di due terzi di quello degli elettori del centrosinistra. Adesso bisogna accelerare il processo politico e dare alla maggioranza di centrosinistra coesione e solidità attraverso la nascita di una vera e grande forza democratica che abbia ampiezza di consensi e solidità di radici sociali. Bisogna trasformare l'Ulivo in un forte soggetto politico. Il cammino di questi 10 anni ha bisogno di trovare sbocco in quel partito democratico e riformista di cui l'Italia ha bisogno».

E quando dovrebbe nascere, secondo lei?
Penso che all'indomani della formazione del governo dovremmo mettere in atto il progetto di costruzione di un nuova grande forza politica che possa dare rappresentanza al riformismo italiano. E per tutto questo è evidente il ruolo e la funzione centrale dei Ds».

Quanto ha inciso sul risultato dell'Ulivo il peso dei Ds?<font>
«Credo che i Ds debbano essere soddisfatti, perché sull'Ulivo i Democratici di sinistra hanno investito tutta la loro forza in questi anni. Il successo dell'Ulivo è, in primo luogo, il successo dei Ds. E ho trovato un po' ridicolo qualcuno che in questi giorni ha cercato di spiegarmi che il voto per i Ds è una cosa e quello per l'Ulivo è un'altra. I Ds sono stati la forza che si è battuta con più determinazione perché si facesse l'Ulivo alla Camera. Se fosse dipeso solo da noi si sarebbero fatte la lista unitaria anche al Senato e le liste dei presidenti in alcune regioni. Tutti sanno che non sono stati i Ds a opporsi a questa eventualità».

Sono andati bene anche i partiti della cosiddetta sinistra radicale. C'è chi sostiene che ciò è stato possibile grazie al voto di potenziali elettori diessini contrari al Partito democratico…
«È avvenuto l'esatto contrario. È stato il buon esito dell'Ulivo che ha trascinato le forze minori. I verdi, il Pdci, l'Italia dei Valori, che hanno accompagnato seppure con un loro profilo la campagna elettorale unitaria di Prodi, sono stati premiati. Le forze che hanno cercato maggiormente di distinguersi, la Rosa nel pugno da una parte e Rifondazione dall'altra, siano quelle che hanno avuto risultati meno brillanti».
E i rapporti tra Ds e Margherita come escono da queste elezioni?
«È del tutto evidente una difficoltà della Margherita a tenere il suo elettorato. Quattro punti percentuali su base nazionale, dal 14 al 10%. Un cedimento in tutte le regioni, con punte anche preoccupanti, come in Sicilia, in Veneto, in Campania e a Roma. Nella prospettiva di costruire un partito dell'Ulivo bisognerà riflettere attentamente su come recuperare gli elettori che la Margherita non è riuscita a tenere. Quanto ai Ds, nel 2001 c'eravamo posti tre obiettivi: riportare il centrosinistra al governo del Paese, ricostruire l'Ulivo e di fare della Quercia la forza baricentrica della coalizione. Abbiamo battuto Berlusconi, abbiamo ricostruito il centrosinistra, abbiamo rilanciato l'Ulivo e i Ds sono la principale forza dell'Unione. Aumentiamo in nostri voti ovunque, anche se il dato percentuale non dà conto in modo sufficiente di questo incremento».

I sondaggi, però, accreditavano ai Ds percentuali più elevate…
«Avevano forse ingenerato aspettative, che poi hanno prodotto una certa delusione. Attenzione, però, se guardiamo alle cifre assolute e all'esito complessivo nessuna persona onesta potrebbe disconoscere che i Ds escono da queste elezioni come la forza determinante per la vittoria del centrosinistra».

Centrosinistra che riuscirà a governare, con una maggioranza così risicata al Senato?
«Dal voto esce una maggioranza che ha vinto le elezioni, anche se con un margine di vantaggio ridotto. Questa è ormai una cosa evidentissima. Berlusconi non accetta di essere sconfitto e ha imbastito una campagna strumentale sui brogli per far credere che l'esito delle elezioni sia incerto. Non è incerto. Il centrosinistra ha vinto, il fatto che abbia ottenuto al Senato una maggioranza piu' risicata non significa che la vittoria sia meno legittima. Il primo obiettivo, quindi, è dare vita a un governo espressione dell'esito del voto».

E che dovrà governare un'Italia spaccata in due…
«È per questo occorre che ci sia un governo forte e autorevole. E occorre che chi governa non lo faccia con arroganza. Prodi, io e altri dirigenti abbiamo detto che vogliamo governare l'Italia facendoci carico delle aspettative, delle domande e delle esigenze di tutto il Paese, degli elettori che hanno votato centrosinistra e di quelli che hanno votato centrodestra».

Ci sono scadenze istituzionali immediate a cui far fronte: presidenze delle Camere ed elezione del nuovo Capo dello Stato. Quale metodo seguirete per dipanare la matassa?
«Una regola di tutte le democrazie, dove vige l'alternanza bipolare, vuole che i presidenti delle camere vengano espressi dalla maggioranza che vince le elezioni. I presidenti delle Camere non sono notai, sono figure politiche che assolvono un ruolo politico. Quello che hanno esercitato Pera e Casini per la vicenda della legge elettorale. Se ci fosse stata una diversa conduzione dell'Aula, ad esempio, quella brutte norme non sarebbero state varate. Nel '94 il centrodestra, che non aveva la maggioranza al Senato, si battè in tutti i modi per eleggere Scognamiglio».

Quindi?
«Quindi non si capisce perché il centrosinistra dovrebbe seguire una regola diversa. Presidenze di Camera e Senato, quindi, in partenza devono essere espressione della maggioranza di governo, salvo che intervengano valutazioni e accordi diversi di qui al 28 di aprile, quando si insedierà il nuovo Parlamento. Tuttavia, se le cose stanno come oggi, non credo che il centrosinistra possa cambiare opinione».

Discorso che vale anche per il Capo dello Stato?
«No, da sempre in Italia il presidente della Repubblica è stato eletto con un consenso più ampio di quello della maggioranza di governo. Non solo, per Cossiga e Ciampi si adottò il metodo di un'intesa preventiva che portò a una scelta largamente condivisa. Io penso che questo debba valere anche questa volta, e che il Presidente della Repubblica possa essere scelto sulla base di un'intesa larga tra le principali forze politiche, rafforzando così ancora di più il profilo del Capo dello Stato come rappresentante dell'Unità nazionale e garante della stabilità delle istituzioni».