La relazione di Piero Fassino
Roma, 11 gennaio
Sono certamente giorni amari, probabilmente i più amari della mia vita politica. Un’amarezza personale per la campagna indecente di aggressione di cui sono oggetto, ma soprattutto perché sento la sofferta indignazione della nostra gente, sdegnata per quanto sta subendo il nostro Partito e, al tempo stesso, turbata per il profilo e i caratteri che è venuta assumendo la vicenda Bnl/Unipol nelle ultime settimane.
A tutti ormai – anche ai commentatori meno favorevoli – risulta evidente l’aggressione che la destra ha scatenato contro il nostro partito e i suoi principali dirigenti. Non si può prescindere dal fatto che siamo a 90 giorni dal voto, un fiato, un attimo, un tempo brevissimo.
La destra tenta di far dimenticare il bilancio fallimentare di 5 anni di governo. Così come è evidente il tentativo di occultare le responsabilità che la destra ha nelle vicende di questi mesi, che vedono esponenti autorevoli della maggioranza e del governo implicati nelle trame di Fiorani.
Ma soprattutto l’obiettivo è delegittimare il centrosinistra, delegittimando sul piano morale e politico il suo principale partito, i DS.
Non a caso guida tale campagna “Il Giornale”, il principale quotidiano della destra, di proprietà della famiglia Berlusconi. Lo stesso quotidiano che per tutto il 2004 e il 2005 ha condotto una vergognosa campagna contro il centrosinistra su Telekom Serbia; il quotidiano che ha scritto a tutta pagina che erano stati ritrovati in una banca austriaca i conti correnti segreti di Fassino, Prodi e Dini: siamo ancora in attesa che ci si chieda scusa. Adesso adottano la stessa tecnica: la delegittimazione non solo politica, ma anche morale; dimostrare che “tutti sono uguali”, che tutti fanno affari, che anche noi abbiamo le mani impastate con soldi loschi e per dimostrare questa infamia non si esita a ricorrere a qualsiasi argomento.
Si è scritto che il nome di Bersani stava in un elenco di persone favorite dai traffici di Fiorani, poi si è scoperto che era un caso di omonimia. Si è accusato Visco di aver fatto una telefonata inopportuna ed occulta ad un funzionario della Banca d’Italia, poi si è scoperto che si trattava di un altro signor Visco. Si infanga ogni giorno Sposetti che ha la sola colpa in questi anni di aver risanato in modo pulito e trasparente i conti dei DS. Si è montata contro D’Alema una provocazione indecente sul leasing contratto per il pagamento della sua barca. Si è accreditato abbondantemente che i conti esteri di Consorte – e in particolare i 50 milioni di euro depositati su quei conti – sarebbero una fonte di finanziamento occulta e illegale ai DS, una vera e propria calunnia di cui chiameremo a rispondere in tribunale chi lo ha scritto e chi continua a scriverlo. Infine si è colpito Fassino con l’obiettivo di demolire immagine e credibilità.
Nel dire questo, voglio essere chiaro: non penso ci sia un complotto, parola che non ho usato mai e non uso, neanche in questa occasione. Ma l’aggressione sì, ed è un’aggressione violenta e fondata sull’odio. Pur di non perdere le elezioni la destra non esita ad annientare l’avversario politico, e questo è qualche cosa che va al di là dello stesso attacco al nostro Partito, perché così si travolge una democrazia e le regole normali di convivenza civile che sorreggono una società democratica.
Non c’entra l’asprezza della battaglia politica. Né l’alternatività più netta tra maggioranza e opposizione imposta dal sistema bipolare. Negli anni Cinquanta lo scontro tra Democrazia Cristiana e PCI era durissimo, ma non è mai venuto in mente a De Gasperi e Togliatti di delegittimarsi reciprocamente sul piano morale.
Per questo abbiamo reagito e continueremo a reagire contestando chi in questi giorni scrive che saremmo alla replica di Tangentopoli del ’92. E’ una falsità, quanto meno per quel che riguarda i DS, che non hanno ricevuto tangenti o finanziamenti illeciti, né hanno conti in Svizzera. Non li ha il nostro Partito, non li ha nessuno di noi.
Se qualche politico li ha, chiediamo che si sappia subito chi è. Insomma non esiste una questione morale che investa i DS.
E il risanamento finanziario del nostro Partito – che nel 2001 aveva accumulato passività pregresse per 500 milioni di euro – è stato realizzato alienando una parte del nostro patrimonio immobiliare e per la quota residua contraendo mutui bancari di cui paghiamo regolarmente i ratei.
Il nostro non è un Partito inquinato; errori possiamo commetterli perché siamo uomini in carne ed ossa, consapevoli di non essere infallibili. Possiamo sbagliare e sui nostri errori siamo pronti a riflettere e discutere. Ma non accettiamo e non accetteremo nessuna campagna di delegittimazione morale e politica dei DS.
Detto questo sarebbe un grave errore ignorare lo sconcerto e la preoccupazione suscitati in una vasta opinione pubblica dalle vicende bancarie di questi mesi. E ancor più grave sarebbe ignorare il profondo turbamento vissuto dall’elettorato nostro e del centrosinistra di fronte al profilo e ai contorni via via assunti dalla vicenda Unipol/Bnl.
Partire da questi sentimenti, raccogliere le critiche, individuare con onestà e umiltà errori e contraddizioni è doveroso per il rispetto che dobbiamo ai nostri elettori, ai nostri iscritti, ai nostri dirigenti.
Ed è anche il modo più giusto e efficace per respingere la vergognosa aggressione con cui si tenta di delegittimare il nostro partito. Affrontiamo, dunque, i problemi.
Parto dalla mia telefonata a Giovanni Consorte, perché proprio da quella mia conversazione pubblicata da “Il Giornale” in modo “illegale” è partita l’offensiva degli ultimi giorni.
Quando dico pubblicata in modo illegale non sto invocando nessuna forma di reticenza o di omissis, ma in uno Stato di diritto non è indifferente che la pubblicazione di intercettazioni sia decisa dalla magistratura che le ha disposte e non sia il frutto avvelenato di una provocazione politica. In America per molto meno, nello scandalo Watergate, Nixon ha subito l’impeachment. In Italia al contrario nessuno trova che sia scandaloso che il giornale del Capo del Governo pubblichi illegalmente una telefonata del leader dell’opposizione e su questo si imbastisca una aggressione personale e politica.
In ogni caso il testo di quella telefonata – la cui esistenza era nota da luglio – dimostra la mia buona fede.
A Eugenio Scalfari che il 14 agosto su La Repubblica chiedeva: “Che cosa si sono detti Fassino e Consorte?”, il giorno dopo rispondevo con queste parole: “A Consorte non ho chiesto niente di più che informazioni sul carattere dell’operazione BNL e con lui ho scambiato reciproche opinioni sulla sua evoluzione. Nessuna particolare richiesta a me da parte di Consorte, né mie ingerenze sulle scelte di Unipol”.
Cinque mesi dopo, la lettura di quella telefonata dimostra quanto allora io sia stato sincero. Insomma, una pura telefonata informativa. In quelle settimane, infatti, vi era una tale quantità di voci, notizie, illazioni, interrogativi da indurmi ad avere maggiore conoscenza su una questione che – come dimostra tutto ciò che è accaduto fin qua – non aveva un rilievo esclusivamente bancario. E chiedo a mia volta: a chi avrei dovuto rivolgermi, se non a chi ne aveva la responsabilità diretta?
Analogo comportamento ho assunto in tanti anni di attività politica nei confronti di tante vicende aziendali – dalla Fiat all’Olivetti all’Alitalia – che rivestivano interesse generale. Non solo, ma c’è un aspetto che sfugge a chi, anche in buona fede, storce il naso di fronte alla mia telefonata: non si troverà mai una mia telefonata a Fazio, a Fiorani, a Statuto, a Coppola, a Ricucci, a Zunino o a uno qualsiasi dei tanti protagonisti di quelle vicende. Mi sono rivolto a Consorte e una volta acquisite informazioni, la mia azione si è fermata lì, non seguita da alcuna interferenza, ingerenza, pressione o qualsivoglia iniziativa. Proprio questo fatto conferma non solo la mia buona fede, ma anche l’atteggiamento corretto dei DS sulla vicenda Unipol/BNL.
Fin dal primo istante abbiamo insistito su un punto: rivendicare per il movimento cooperativo e le sue imprese, e quindi anche per Unipol, gli stessi diritti e le stesse opportunità di cui gode ogni altra impresa. Diritti, non privilegi.
Ezio Mauro, in un bell’articolo su La Repubblica ha scritto: “Vogliamo essere sicuri che i DS non pensino che il movimento cooperativo deve essere il figlio di un Dio maggiore protetto e benedetto da una grande forza politica.” Sono d’accordo, perché semmai abbiamo chiesto esattamente il contrario: che il movimento cooperativo e le sue imprese non venissero considerati figli di un Dio minore. E abbiamo posto questa esigenza non per una convenienza particolare dei DS, ma perchè convinti che il movimento cooperativo sia parte importante dell’economia italiana. Un milione di lavoratori, occupati in migliaia di imprese, molte delle quali con ruoli di punta nei loro settori di attività. Sulle prime 100 aziende italiane per fatturato, 30 sono cooperative. Nella grande distribuzione è grazie alla Coop se ancora in Italia questo settore non è del tutto in mani di gruppi multinazionali.
Nel settore agro/alimentare il movimento cooperativo, sia quello “rosso” che quello “bianco”, è una presenza rilevante, tant’é che quando si sono prodotti i crack di Cirio e Parmalat, il governo si è rivolto prima di tutto alle imprese cooperative per favorire il salvataggio di pezzi fondamentali dell’apparato produttivo agro/alimentare. La stessa Unipol è diventata nell’arco di quindici anni la terza compagnia assicurativa italiana. E sul fronte delle attività terziarie e dei servizi sociali, la forma cooperativa appare sempre di più idonea ad assicurare prestazioni di qualità.
Per questo abbiamo difeso il diritto del movimento cooperativo. In nome di un interesse del sistema-Paese. In questi giorni tutti affermano che non è mai stato in discussione questo diritto e che in ogni caso i DS hanno ragione a riaffermarlo. Ma non è vero. Vogliamo dimenticarci l’invito rivolto alle cooperative da esponenti significativi dell’imprenditoria italiana a occuparsi soltanto di supermercati?
In quelle parole c’era la dimostrazione di un fastidio, di una sottovalutazione, del fatto che le imprese cooperative vengono considerate, in alcuni settori, come degli intrusi. Ci viene obiettato: “avete fatto il tifo”, ma a parte il fatto che il tifo è l’espressione di un sentimento, di una passione, cosa si vuole dire con questo rimprovero? È una colpa non solo battersi perché Unipol abbia pari diritti, ma anche augurarsi che ce la faccia a esercitarli? Naturalmente sono il primo a chiedermi per quale ragione la nostra attenzione, razionale e fondata su ragioni limpide, sia stato fraintesa, offrendo un’immagine distorta del nostro partito. Né mi sfugge che si sia percepita una nostra sovraesposizione, di cui mi rammarico. Ma anche in questi casi – e su cui certo è giusto riflettere criticamente – nulla giustifica la canea aggressiva con cui siamo stati investiti in queste settimane.
La verità è che non è ancora del tutto riconosciuta alle imprese cooperative la piena legittimità ad essere impresa. E spesso prevale – anche a sinistra – l’idea che le cooperative debbano esaurire la propria funzione in attività sociali o terziarie. E, in ogni caso, si guarda con diffidenza alla possibilità che il movimento cooperativo si possa occupare di credito, finanza e banche. Si dimentica che aderisce alla Confcooperative una robusta rete di 435 Banche di Credito Cooperativo che hanno milioni di clienti, raccolgono miliardi di risparmi, sostengono flussi di investimenti e hanno spesso sostituito sul territorio l’azione assolta per lungo tempo dalle Casse di Risparmio.
E un mese fa – consapevoli quelle Banche dei rischi connessi alle piccole dimensioni di ciascuna di esse – hanno deciso di darsi una forma associativa consortile che consenta loro di operare con dimensioni e strumenti adeguati al mercato nazionale ed europeo. Non solo, ma sottolineo che anche settori del movimento cooperativo contrari all’operazione Unipol/Bnl, sostengono proprio in questi giorni l’opportunità di riprendere un progetto di integrazione tra Unipol e MPS.
E lo stesso progetto industriale di bancassicurazione – su cui naturalmente è del tutto legittimo avere opinioni favorevoli o contrarie – non era e non è una idea stravagante, stante che in molte città italiane sono in corso di apertura gli sportelli di Generali Banca, che da alcuni anni la Ras ha dato vita alla Ras Bank, che tutti i principali istituti bancari – da IMI-San Paolo a Monte dei Paschi alla stessa Bnl – si sono dotate di solide strutture per il settore assicurativo.
Dunque non c’era e non c’è una sola ragione per accettare una inibizione di principio a che Unipol perseguisse l’obiettivo di espandersi nel settore bancario. Non solo, ma voglio ricordare che ogni volta che abbiamo richiesto uguali diritti ed uguali opportunità per le imprese cooperative, abbiamo anche sempre ribadito che tutto dovesse avvenire in modo trasparente sulla base delle leggi e delle regole del mercato. Insomma, a uguali diritti devono corrispondere da parte del movimento cooperativo uguali doveri ed uguali responsabilità.
Non solo, ma proprio perchè consapevoli della necessità di un sistema di regole certe e trasparenti, ci siamo battuti per più di due anni perchè in Parlamento si approvasse una legge sul risparmio capace di rendere più trasparente la governance delle imprese, tutelare risparmiatori e azionisti, riformare l’attività di vigilanza e controllo. E’ infondata la tesi di una nostra incertezza nel valutare criticamente la conduzione di Bankitalia e l’operato del Governatore Fazio, perchè condizionati dalle vicende Unipol.
Ricordo che sono stati i gruppi parlamentari DS a battersi perchè in Parlamento si approvasse il mandato a termine per il Governatore e il trasferimento all’Antitrust della vigilanza sulla concorrenza bancaria, due riforme di cui Fazio è stato fierissimo avversario.
Al punto che quando i nostri parlamentari sono riusciti a far approvare quelle due proposte in Commissione, il giorno successivo Fazio si recò a Palazzo Chigi a chiedere soccorso, che gli venne prontamente concesso da Berlusconi, con il consenso pubblico di tanti che qualche mese dopo hanno invocato le dimissioni del Governatore.
E, in ogni caso, quando sono emersi fatti che hanno dimostrato il venir meno della imparzialità a cui avrebbe dovuto ispirarsi l’azione del Governatore, non abbiamo esitato neanche un istante a chiedergli di fare un passo indietro e, dimettendosi, di compiere un atto di responsabilità verso il Paese.
Dove, dunque si è manifestata una nostra insufficienza? Ciò che, in realtà, non abbiamo visto in tempo, o in ogni caso abbiamo sottovalutato, è che, mano a mano che la scalata evolveva, assumeva connotati e profilo assai diversi da quelli auspicati e previsti inizialmente.
Equivoco e negativo è stato il ruolo di Bankitalia, che è parsa spesso mossa da erronee logiche protezionistiche. Vi è stata una sottovalutazione del movimento cooperativo – e anche nostra – dell’ampiezza e della consistenza delle obiezioni e delle contrarietà da più parti espresse sulla strategia e sulla modalità di acquisizione di Bnl. E’ mancata una strategia di alleanze che rendesse più solidi la compagine societaria, il progetto industriale e il suo finanziamento. Insufficiente la consistenza patrimoniale, ragione invocata ieri da Bankitalia per negare l’autorizzazione a esercitare l’OPA. Si sono determinati intrecci tra le diverse scalate –Antonveneta, Bnl, RCS – offrendo l’immagine di un unico disegno dai contorni equivoci.
Le indagini della magistratura hanno poi fatto emergere comportamenti e fatti di fronte ai quali non possiamo chiudere gli occhi: conti esteri con depositi illeciti, condonati con lo scudo fiscale di Tremonti; consulenze di dubbia motivazione; concertazioni trasversali non dichiarabili; forme di arricchimento personale; commistione tra interessi privati ed interessi societari.
Naturalmente non spetta a noi pronunciarci sul profilo giudiziario di questi comportamenti. E’ la magistratura che deve valutarli e ci auguriamo che gli interessati dimostrino l’assoluta liceità dei loro comportamenti. Ma non c’è dubbio che sono comportamenti del tutto estranei ai nostri valori ed alla nostra storia, tanto più per chi sta in un’organizzazione, come un’impresa cooperativa, che nasce e vive per affermare finalità solidaristiche. E, dunque, su quei comportamenti il nostro giudizio non può che essere molto severo e la presa di distanza assoluta. Nessuna società vive senza principi morali. Il fiume della politica per noi non può che scorrere nel letto dell’etica ed anche l’economia ed il mercato, che pure hanno le loro regole ferree, e spesso spietate, non possono prescindere da principi etici e comportamenti responsabili. Per noi queste sono regole irrinunciabili e quando vengono violate il nostro giudizio critico non può che essere netto ed esplicito.
Intendiamoci, noi non eravamo a conoscenza di molte delle cose che sono emerse in queste settimane. E, tuttavia, anche su questo voglio offrire una riflessione onesta: anche non sapendo, dobbiamo chiederci per quale ragione si sia allentata, anche nelle nostre file, la capacità di prevenire tempestivamente comportamenti non coerenti con principi etici e rigore morale. Certamente qualcosa non ha funzionato, o quanto meno c’è stato un offuscamento della irrinunciabilità di un rigore morale che deve ispirare ogni comportamento di chi ha responsabilità pubbliche o sociali.
Le vicende bancarie, tuttavia, sollevano altri nodi culturali, economici e politici, evocati anche da Romano Prodi, su cui è dovere di tutti – istituzioni, partiti, imprese – riflettere e agire. Emerge, in primo luogo, la necessità di una riflessione sull’identità del movimento cooperativo, su come debba collocarsi un’impresa cooperativa nel mondo della globalizzazione, dell’economia aperta, della competitività. E su quale rapporto si debba stabilire tra il solidarismo che ispira la nascita e la vita di un’impresa cooperativa ed un mercato con le cui regole anche un’impresa cooperativa deve fare i conti.
Rispondere a questi quesiti è tanto più importante di fronte alla dilatazione conosciuta in questi anni dalle forme di impresa sociale e cooperativa, a cui si ricorre sempre di più in importanti attività sociali, di cura, di formazione, ma anche in crescenti attività terziarie e di produzione intellettuale e materiale.
Qui c’è stato e continua ad esserci un deficit di riflessione, elaborazione, proposta che consenta al movimento cooperativo di essere un soggetto pienamente riconosciuto nell’economia di oggi. Per essere più esplicito non è sufficiente pensare che “essere cooperativo è buono”, occorre costruire le regole e le condizioni perché il movimento cooperativo possa esercitare al meglio le sue funzioni. E questo significa anche innovare il quadro legislativo e normativo per farlo aderire meglio ad un sistema di imprese che per dimensioni, finalità, struttura è assai più diversificato di un tempo.
E’ una riflessione che devono condurre non solo i DS, ma in primo luogo tutto il movimento cooperativo.
Anzi, come hanno sottolineato in diverse dichiarazioni Prodi e i Presidenti di Confcooperative e della Lega, è una riflessione che può diventare anche il terreno di un processo di unificazione, anche associativo, dell’intero movimento cooperativo italiano.
Lo stesso superamento del “collateralismo” – che in realtà nelle forme storiche tradizionali da molti anni non c’è più – potrà essere più rapido e visibile attraverso un processo di riorganizzazione del movimento cooperativo che superi le forme di organizzazione storicamente figlie del sistema politico di un’altra epoca. E il fatto che io ponga così in modo aperto la necessità di un nuovo rapporto tra soggetti politici e soggetti associativi è la più onesta dimostrazione che non siamo alla ricerca nostalgica di nessun vecchio collateralismo.
Ma le vicende bancarie di questi mesi pongono un problema di governance, che non riguarda solo le imprese cooperative, ma il più generale sistema delle imprese.
E’ emerso un puzzle di incroci, patti/contropatti, concertazioni, scatole societarie, indicativo di una patologia che rischia di intaccare il capitalismo italiano e i suoi assetti.
C’è qualche cosa di stonato nel fatto che sempre più spesso basta comprare l’1,5-il 2% di una società per controllarla e determinarne i destini.
Né possiamo considerare positivo che i patti di sindacato siano sempre di più dei circoli chiusi e impenetrabili, dove spesso si manifestano intrecci di interessi che poco hanno a che vedere con la trasparenza di conduzione di una impresa.
D’altra parte non è un caso se l’Italia ha la Borsa più asfittica d’Europa e i risparmiatori preferiscano affidarsi a titoli di Stato, anche quando offrono rendimenti bassissimi, piuttosto che investire in altri strumenti finanziari percepiti come rischiosi e incontrollabili.
Insomma, non è più rinviabile l’apertura e l’innovazione del mercato dei capitali e dei risparmi: affrontando il nodo del rapporto tra banche ed imprese; promuovendo il decollo effettivo dei fondi pensione che questo governo, ha rinviato di altri due anni; promuovendo tutte le forme di venture capital; stabilendo che i fondi di investimento non siano proprietà delle banche per superare così un ovvio conflitto di interesse che rende più asfittico il mercato e comprime la concorrenza.
Ed ancora, è tempo di una riflessione sul rapporto tra privatizzazioni e liberalizzazioni, prendendo atto che le sole privatizzazioni possono non essere sufficienti a creare nuovi operatori e promuovere maggiore concorrenza se contestualmente non si fanno politiche di liberalizzazione. Tant’è che in settori strategici si sono creati monopoli ed oligopoli di tipo privatistico non dissimili da quelli pubblici, con un intrecci non sempre trasparenti con il potere politico ed istituzionale.
Insomma: un rapporto tra Stato e mercato che superi definitivamente esperienze stataliste e dirigiste, passa per una chiara distinzione di ruoli e funzioni di ogni attore pubblico e privato. Ci richiama spesso Padoa Schioppa al “modello Wimbledon” fondato su modalità trasparenti di governance delle imprese e su una chiara distinzione di ciò che spetta alle imprese e ciò che compete alla politica.
Alla politica spetta determinare leggi, regole e norme entro cui un operatore economico possa collocare le proprie scelte e promuovere politiche e contesti favorevoli allo sviluppo; mentre le scelte imprenditoriali spettano soltanto e insindacabilmente all’impresa e a chi ne ha la responsabilità.
Molti invocano regole, ma le riforme del diritto societario e fallimentare hanno dato risposte insufficienti e parziali e il governo ha imposto al Parlamento una legge sul risparmio largamente inadeguata, a partire dal fatto che si è abolito il reato di falso in bilancio.
Chi tutelerà gli amministratori sani se ci sarà chi invece potrà falsificare i bilanci senza alcuna responsabilità? E chi tutelerà i soci, gli azionisti, i risparmiatori nel momento in cui non avranno più la certezza di affidare i loro soldi ad amministratori che siano vincolati all’obbligo della trasparenza e della legalità?
In tale contesto non appare soddisfatta la esigenza di una compiuta riforma della Banca d’Italia, gravemente minata nella sua imparzialità e nella sua autorevolezza dalla conduzione di questi mesi. Alla nomina del nuovo Governatore – di cui apprezziamo esperienza e competenza – deve seguire ora una effettiva riforma di Bankitalia, del suo assetto proprietario e delle sue funzioni, contestualmente a un vero e netto rafforzamento dei poteri di Consob e dell’Authority Antitrust.
Anche le vicende di questi mesi ripropongono la necessità di una effettiva ed efficace regolazione dei conflitti di interesse, in particolare nei rapporti tra banche e imprese, così come nei rapporti tra imprese e mezzi di comunicazione.
Da questo quadro emerge la necessità di una forte visione critica sugli assetti del capitalismo italiano e l’urgenza ineludibile di affrontare uno strutturale intervento sul piano economico e politico che riduca il primato della rendita a vantaggio del capitale di rischio e del lavoro e corregga gli effetti distorsivi di una accumulazione affidata sempre più spesso solo a meccanismi di finanziarizzazione.
Peraltro si è visto in questi anni come una esasperata finanziarizzazione acuisca le sperequazioni nella distribuzione del reddito, approfondisca le disuguaglianze economiche e sociali, blocchi l’innovazione, mini la qualità sociale e ambientale dello sviluppo. Il prevalere – nell’assetto proprietario e gestionale di molte grandi imprese private – dei patti di sindacato e del controllo tramite “relazioni” tra ristretti gruppi di protagonisti del sistema finanziario, è una delle fondamentali cause del carattere asfittico, poco dinamico e poco competitivo del capitalismo italiano.
L’apertura alla concorrenza e al protagonismo di nuovi soggetti – la cooperazione, i fondi pensione, il sistema delle medie imprese, il sistema del risparmio gestito e dei fondi di investimento, da separare e distinguere dalle banche – costituisce un primario interesse nazionale.
L’aspetto cruciale rimane, comunque, la grave crisi del paese e il vuoto politico dell’attuale governo. Per questo il nostro sforzo deve essere teso a far sì che la politica ritrovi le forze per dettare nuove regole affinché il paese non si ritrovi in una situazione di sbando irreversibile.
Il nostro impegno deve essere quello di saper offrire ai cittadini uno Stato di diritto che si faccia garante di tutti gli interessi generali. Solo in questo modo potremmo creare un economia nuova, più competitiva che sappia guardare al futuro con quella fiducia che appartiene a chi ha dietro le spalle un progetto autentico di guida del paese. Questo si potrà fare solo se i DS sapranno essere una forza innovativa, trainante della coalizione di centrosinistra. Tutte queste cose, dunque, ci vengono consegnate dalle vicende bancarie di questi mesi. Discutiamone e ragioniamone. E qui c’è una responsabilità di tutti, di chi governa e di chi è all’opposizione, di chi è impresa e di chi è politica.
Non solo, io dico anche di più: affrontiamo anche i temi della governance sul fronte della politica. Non da oggi sosteniamo che i comportamenti di chi ha una responsabilità pubblica non possono essere determinati solo dal rispetto della legge, ma anche da principi deontologici, criteri etici, comportamenti morali. Anche per questi fini servono strumenti.
Si affronti la regolamentazione legislativa dello statuto giuridico dei partiti, come recita l’art. 49 della Costituzione, volta a valorizzare il carattere democratico dei partiti, la loro funzione insostituibile per il sistema democratico e a garantire un serio riconoscimento giuridico per quei soggetti politici e associativi cui si richiede una contribuzione economica.
Si adottino norme più rigorose per la incompatibilità – o comunque la netta distinzione – tra incarichi istituzionali o amministrativi e responsabilità politiche. Si stabilisca di introdurre nella legge sul finanziamento pubblico dei partiti un’Autorità di garanzia imparziale e professionale a cui i partiti sottopongano bilanci e attività.
Noi in ogni caso siamo pronti a farlo subito e per questo propongo di chiedere a cinque personalità professionali e neutrali di riconosciuta autorevolezza di essere partecipi di un “Comitato di Garanti”, a cui sottoporremo ogni anno il nostro bilancio e ogni nostra attività patrimoniale e finanziaria.
Come si vede non siamo arroccati in nessun bunker. Siamo anzi interessati a discutere e a innovare profondamente regole che presiedano alla politica e ai rapporti tra politica e economia.
Teniamo ben chiari due fronti di iniziativa: no, a qualsiasi aggressione politica e morale; sì ad una riflessione critica che ci consenta di trarre dalle vicende di questi mesi indicazioni perché quelle vicende non si ripetano più.
Voglio terminare rivolgendomi ai nostri alleati ed alla nostra gente. Ai nostri alleati – e in primo luogo a Romano Prodi e a Francesco Rutelli – esprimo il nostro ringraziamento per la solidarietà che ci è stata manifestata. Una solidarietà resa più solida dal comune impegno a salvaguardare la coesione del centrosinistra e le possibilità di successo elettorale. Attaccando i DS la destra vuole mettere in crisi l’intera alleanza, così come se si attaccasse la Margherita si metterebbe in crisi l’intera alleanza. C’è dunque un interesse comune a respingere una campagna con cui la destra cerca di evitare una sconfitta elettorale che sente prossima.
Infine alla nostra gente dico che colgo tutta l’ansia, la preoccupazione, il turbamento che agita il loro animo. Voglio dire ai nostri elettori ed agli italiani: siate sicuri, noi siamo gente per bene! Possiamo anche commettere degli errori e quando avviene è giusto riconoscerli e discuterne. Ma i DS sono una forza sana.
La lezione morale e politica di Berlinguer vive in noi ogni giorno, non per una ragione genetica, ma per i comportamenti che ci ispirano, per l’idea della politica che abbiamo e per come la pratichiamo, per come migliaia di nostri amministratori assolvono alle loro funzioni istituzionali, per come serviamo con passione e generosità il nostro Paese, mettendocela tutta, credendo nelle cose che facciamo, con l’intelligenza e l’energia di cui siamo capaci.
Non abbiamo smarrito e non smarriamo la nostra identità di una grande forza riformista e di sinistra. E l’obiettivo di dar vita ad un grande Partito riformista e democratico in Italia non è neanche per un istante rinuncia alla nostra identità, ai nostri valori, al nostro rigore, alla nostra tensione etica. Per questo non dobbiamo avere neanche un attimo di incertezza di fronte all’aggressione di chi ci vuole colpire. Nessuna forma di arroganza o di supponenza che in politica e nella vita è sempre un errore; ma neanche nessuna forma di infondata insicurezza.
Possiamo guardare negli occhi qualsiasi italiano e possiamo combattere a testa alta perché chi vuole travolgerci non passi e mi auguro che tra 90 giorni si abbia quell’esito elettorale per cui abbiamo lavorato in questi cinque anni.
In questi giorni abbiamo visto di quanta passione, generosità, dedizione è fatto questo partito. Mi riferisco non solo al grande moto di solidarietà di cui sono grato ai tanti che me lo hanno manifestato. Mi riferisco alla voglia di reagire che, dopo un iniziale smarrimento, si va manifestando in modo ampio e determinato nel nostro partito e nell’elettorato. Mi riferisco al fatto che in queste stesse ore sono venuti al nostro Partito significative testimonianze di condivisione, come la decisione di aderire ai DS di due significativi esponenti del riformismo socialista come Pietro Larizza, dirigente storico della UIL e del movimento sindacale unitario, e di Pierluigi Severi, vicesindaco della giunta Petroselli.
Lo stesso turbamento così ampio nel nostro elettorato e tra i nostri iscritti dice quale patrimonio di fiducia c’è verso i DS. È questo patrimonio che i nostri avversari vogliono intaccare. È questo patrimonio che noi dobbiamo preservare. E lo possiamo fare se – con umiltà e disponibilità – ci apriamo al confronto con la società italiana dicendo al Paese quel che vogliamo fare e come intendiamo governare.
Per questo chiamiamo tutte le nostre organizzazioni a promuovere immediatamente in ogni città, in ogni territorio iniziative di confronto e discussione sia nel partito, sia con elettori e cittadini. E un momento importante di discussione e orientamento sarà l’Assemblea nazionale dei Segretari di sezione che terremo qui a Roma il 21 gennaio.
Nel promuovere questa ampia discussione democratica intendiamo mettere al centro la nostra proposta per il governo del Paese. La destra tenta di occultare il suo fallimento.
Noi dobbiamo parlare dell’Italia. Di un’Italia che ha conosciuto e conosce una stagnazione della crescita degli investimenti, del redditi, dei consumi. Un’Italia che perde colpi nella competizione internazionale e rischia una riduzione della capacità innovativa e competitiva delle sue imprese. Un’Italia segnata nella vita di milioni di famiglie da una maggiore precarietà di reddito, di lavoro e di opportunità, in primo luogo per i più giovani. Un’Italia che si sente più insicura, guarda al proprio futuro con maggiore incertezza, è meno capace di sperare e scommettere. E’ un’Italia a cui non mancano risorse, energie, capacità, competenze. Ma quest’Italia ha bisogno di una guida che sia capace di restituire speranza, fiducia, voglia di mettersi alla prova. Qui sta la sfida. E qui noi – il centrosinistra – dobbiamo esser capaci di interpretare e rappresentare le domande degli italiani.
Per questo dobbiamo parlare al Paese, partendo dalle sue domande e rendendo evidente e convincente come intendiamo restituire all’Italia e agli italiani quelle speranze e quelle certezze che la destra aveva promesso ma ha deluso.
Decisivo è il grado di coesione dell’Unione di centrosinistra così come è avvenuto in occasione delle elezioni regionali. Una coesione che potrà ulteriormente arricchirsi dell’apporto significativo della “Rosa nel pugno” e del contributo di altre formazioni politiche nazionali e civiche che hanno manifestato la volontà di concorrere al successo del centrosinistra. E la Convenzione programmatica dell’Unione dell’11 febbraio consentirà, peraltro, di rendere visibile la proposta unitaria di governo del centrosinistra. Essenziale è ridare slancio al progetto dell’Ulivo e alla prospettiva di dare vita ad un grande partito democratico e riformista, dando corso con convinzione alle scelte maturare nel nostro Congresso e, in particolare, alla decisione di presentarci agli elettori con la lista dell’Ulivo nelle elezioni per la Camera dei Deputati. Per tutto questo serve un partito sicuro, radicato, capace di trasmettere agli elettori fiducia e serenità.
Oggi lo siamo ed è per questo che le destra ha scelto di colpire noi: proprio per la funzione baricentrica di architrave del centrosinistra che siamo venuti assolvendo in questi anni. Per questo è importante reagire e non smarrire il senso della funzione nazionale a cui, ancora una volta, il nostro partito è chiamato.
Decisiva, in particolare, è la capacità del gruppo dirigente nazionale di esprimere un più alto livello di coesione, di collegialità politica e di solidarietà umana. Per questo condivido l’esigenza di una più ampia collegialità e condivisione di direzione politica che – accanto all’azione quotidiana di direzione della Segreteria nazionale – potrà essere assicurata da più frequenti riunioni della Presidenza della Direzione, la cui composizione assicura la più ampia rappresentatività unitaria. Ed è un segnale importante di questa nostra volontà unitaria che questa importante riunione della Direzione si concluda con l’approvazione di un Ordine del giorno condiviso unanimamente ieri sera dalla Presidenza della Direzione.
Mancano meno di dodici settimane al 9 aprile e sedici settimane alla domenica di metà maggio che vedrà i cittadini di Roma, Milano, Napoli, Torino e molti altri importanti capoluoghi di provincia andare alle urne per eleggere sindaci e consigli comunali. E a giugno ci sarà il referendum sulla revisione costituzionale e la devolution, per la cui promozione è necessario raccogliere 500 mila firme entro l’inizio di febbraio.
Siamo, dunque, al cimento decisivo. Alle spalle abbiamo quattro anni segnati da una costante crescita di consensi del centrosinistra che – dal 2002 ad oggi – ha accumulato successi in ogni passaggio elettorale. E ci sono oggi le condizioni per raccogliere un consenso maggioritario nel Paese.
Tuttavia, guai a dare per scontato l’esito elettorale. Proprio l’aggressione scatenata contro di noi in queste settimane dice quanto sia determinata la destra nel tentare ad ogni costo di evitare una sconfitta. E di come non esiterà a ricorrere a qualsiasi trucco, infingimento e artificio per convincere gli elettori.
Da parte nostra serve, dunque, la mobilitazione piena e incondizionata di ogni energia per far giungere a ogni donna e a ogni uomo del nostro Paese la nostra parola di riscatto, di dignità e di speranza.
So che ciascuno di noi farà la propria parte per essere all’altezza delle aspettative e della fiducia che tanti italiani ancora in questi giorni difficili ci hanno manifestato con passione e generosità.
Sono certamente giorni amari, probabilmente i più amari della mia vita politica. Un’amarezza personale per la campagna indecente di aggressione di cui sono oggetto, ma soprattutto perché sento la sofferta indignazione della nostra gente, sdegnata per quanto sta subendo il nostro Partito e, al tempo stesso, turbata per il profilo e i caratteri che è venuta assumendo la vicenda Bnl/Unipol nelle ultime settimane.
A tutti ormai – anche ai commentatori meno favorevoli – risulta evidente l’aggressione che la destra ha scatenato contro il nostro partito e i suoi principali dirigenti. Non si può prescindere dal fatto che siamo a 90 giorni dal voto, un fiato, un attimo, un tempo brevissimo.
La destra tenta di far dimenticare il bilancio fallimentare di 5 anni di governo. Così come è evidente il tentativo di occultare le responsabilità che la destra ha nelle vicende di questi mesi, che vedono esponenti autorevoli della maggioranza e del governo implicati nelle trame di Fiorani.
Ma soprattutto l’obiettivo è delegittimare il centrosinistra, delegittimando sul piano morale e politico il suo principale partito, i DS.
Non a caso guida tale campagna “Il Giornale”, il principale quotidiano della destra, di proprietà della famiglia Berlusconi. Lo stesso quotidiano che per tutto il 2004 e il 2005 ha condotto una vergognosa campagna contro il centrosinistra su Telekom Serbia; il quotidiano che ha scritto a tutta pagina che erano stati ritrovati in una banca austriaca i conti correnti segreti di Fassino, Prodi e Dini: siamo ancora in attesa che ci si chieda scusa. Adesso adottano la stessa tecnica: la delegittimazione non solo politica, ma anche morale; dimostrare che “tutti sono uguali”, che tutti fanno affari, che anche noi abbiamo le mani impastate con soldi loschi e per dimostrare questa infamia non si esita a ricorrere a qualsiasi argomento.
Si è scritto che il nome di Bersani stava in un elenco di persone favorite dai traffici di Fiorani, poi si è scoperto che era un caso di omonimia. Si è accusato Visco di aver fatto una telefonata inopportuna ed occulta ad un funzionario della Banca d’Italia, poi si è scoperto che si trattava di un altro signor Visco. Si infanga ogni giorno Sposetti che ha la sola colpa in questi anni di aver risanato in modo pulito e trasparente i conti dei DS. Si è montata contro D’Alema una provocazione indecente sul leasing contratto per il pagamento della sua barca. Si è accreditato abbondantemente che i conti esteri di Consorte – e in particolare i 50 milioni di euro depositati su quei conti – sarebbero una fonte di finanziamento occulta e illegale ai DS, una vera e propria calunnia di cui chiameremo a rispondere in tribunale chi lo ha scritto e chi continua a scriverlo. Infine si è colpito Fassino con l’obiettivo di demolire immagine e credibilità.
Nel dire questo, voglio essere chiaro: non penso ci sia un complotto, parola che non ho usato mai e non uso, neanche in questa occasione. Ma l’aggressione sì, ed è un’aggressione violenta e fondata sull’odio. Pur di non perdere le elezioni la destra non esita ad annientare l’avversario politico, e questo è qualche cosa che va al di là dello stesso attacco al nostro Partito, perché così si travolge una democrazia e le regole normali di convivenza civile che sorreggono una società democratica.
Non c’entra l’asprezza della battaglia politica. Né l’alternatività più netta tra maggioranza e opposizione imposta dal sistema bipolare. Negli anni Cinquanta lo scontro tra Democrazia Cristiana e PCI era durissimo, ma non è mai venuto in mente a De Gasperi e Togliatti di delegittimarsi reciprocamente sul piano morale.
Per questo abbiamo reagito e continueremo a reagire contestando chi in questi giorni scrive che saremmo alla replica di Tangentopoli del ’92. E’ una falsità, quanto meno per quel che riguarda i DS, che non hanno ricevuto tangenti o finanziamenti illeciti, né hanno conti in Svizzera. Non li ha il nostro Partito, non li ha nessuno di noi.
Se qualche politico li ha, chiediamo che si sappia subito chi è. Insomma non esiste una questione morale che investa i DS.
E il risanamento finanziario del nostro Partito – che nel 2001 aveva accumulato passività pregresse per 500 milioni di euro – è stato realizzato alienando una parte del nostro patrimonio immobiliare e per la quota residua contraendo mutui bancari di cui paghiamo regolarmente i ratei.
Il nostro non è un Partito inquinato; errori possiamo commetterli perché siamo uomini in carne ed ossa, consapevoli di non essere infallibili. Possiamo sbagliare e sui nostri errori siamo pronti a riflettere e discutere. Ma non accettiamo e non accetteremo nessuna campagna di delegittimazione morale e politica dei DS.
Detto questo sarebbe un grave errore ignorare lo sconcerto e la preoccupazione suscitati in una vasta opinione pubblica dalle vicende bancarie di questi mesi. E ancor più grave sarebbe ignorare il profondo turbamento vissuto dall’elettorato nostro e del centrosinistra di fronte al profilo e ai contorni via via assunti dalla vicenda Unipol/Bnl.
Partire da questi sentimenti, raccogliere le critiche, individuare con onestà e umiltà errori e contraddizioni è doveroso per il rispetto che dobbiamo ai nostri elettori, ai nostri iscritti, ai nostri dirigenti.
Ed è anche il modo più giusto e efficace per respingere la vergognosa aggressione con cui si tenta di delegittimare il nostro partito. Affrontiamo, dunque, i problemi.
Parto dalla mia telefonata a Giovanni Consorte, perché proprio da quella mia conversazione pubblicata da “Il Giornale” in modo “illegale” è partita l’offensiva degli ultimi giorni.
Quando dico pubblicata in modo illegale non sto invocando nessuna forma di reticenza o di omissis, ma in uno Stato di diritto non è indifferente che la pubblicazione di intercettazioni sia decisa dalla magistratura che le ha disposte e non sia il frutto avvelenato di una provocazione politica. In America per molto meno, nello scandalo Watergate, Nixon ha subito l’impeachment. In Italia al contrario nessuno trova che sia scandaloso che il giornale del Capo del Governo pubblichi illegalmente una telefonata del leader dell’opposizione e su questo si imbastisca una aggressione personale e politica.
In ogni caso il testo di quella telefonata – la cui esistenza era nota da luglio – dimostra la mia buona fede.
A Eugenio Scalfari che il 14 agosto su La Repubblica chiedeva: “Che cosa si sono detti Fassino e Consorte?”, il giorno dopo rispondevo con queste parole: “A Consorte non ho chiesto niente di più che informazioni sul carattere dell’operazione BNL e con lui ho scambiato reciproche opinioni sulla sua evoluzione. Nessuna particolare richiesta a me da parte di Consorte, né mie ingerenze sulle scelte di Unipol”.
Cinque mesi dopo, la lettura di quella telefonata dimostra quanto allora io sia stato sincero. Insomma, una pura telefonata informativa. In quelle settimane, infatti, vi era una tale quantità di voci, notizie, illazioni, interrogativi da indurmi ad avere maggiore conoscenza su una questione che – come dimostra tutto ciò che è accaduto fin qua – non aveva un rilievo esclusivamente bancario. E chiedo a mia volta: a chi avrei dovuto rivolgermi, se non a chi ne aveva la responsabilità diretta?
Analogo comportamento ho assunto in tanti anni di attività politica nei confronti di tante vicende aziendali – dalla Fiat all’Olivetti all’Alitalia – che rivestivano interesse generale. Non solo, ma c’è un aspetto che sfugge a chi, anche in buona fede, storce il naso di fronte alla mia telefonata: non si troverà mai una mia telefonata a Fazio, a Fiorani, a Statuto, a Coppola, a Ricucci, a Zunino o a uno qualsiasi dei tanti protagonisti di quelle vicende. Mi sono rivolto a Consorte e una volta acquisite informazioni, la mia azione si è fermata lì, non seguita da alcuna interferenza, ingerenza, pressione o qualsivoglia iniziativa. Proprio questo fatto conferma non solo la mia buona fede, ma anche l’atteggiamento corretto dei DS sulla vicenda Unipol/BNL.
Fin dal primo istante abbiamo insistito su un punto: rivendicare per il movimento cooperativo e le sue imprese, e quindi anche per Unipol, gli stessi diritti e le stesse opportunità di cui gode ogni altra impresa. Diritti, non privilegi.
Ezio Mauro, in un bell’articolo su La Repubblica ha scritto: “Vogliamo essere sicuri che i DS non pensino che il movimento cooperativo deve essere il figlio di un Dio maggiore protetto e benedetto da una grande forza politica.” Sono d’accordo, perché semmai abbiamo chiesto esattamente il contrario: che il movimento cooperativo e le sue imprese non venissero considerati figli di un Dio minore. E abbiamo posto questa esigenza non per una convenienza particolare dei DS, ma perchè convinti che il movimento cooperativo sia parte importante dell’economia italiana. Un milione di lavoratori, occupati in migliaia di imprese, molte delle quali con ruoli di punta nei loro settori di attività. Sulle prime 100 aziende italiane per fatturato, 30 sono cooperative. Nella grande distribuzione è grazie alla Coop se ancora in Italia questo settore non è del tutto in mani di gruppi multinazionali.
Nel settore agro/alimentare il movimento cooperativo, sia quello “rosso” che quello “bianco”, è una presenza rilevante, tant’é che quando si sono prodotti i crack di Cirio e Parmalat, il governo si è rivolto prima di tutto alle imprese cooperative per favorire il salvataggio di pezzi fondamentali dell’apparato produttivo agro/alimentare. La stessa Unipol è diventata nell’arco di quindici anni la terza compagnia assicurativa italiana. E sul fronte delle attività terziarie e dei servizi sociali, la forma cooperativa appare sempre di più idonea ad assicurare prestazioni di qualità.
Per questo abbiamo difeso il diritto del movimento cooperativo. In nome di un interesse del sistema-Paese. In questi giorni tutti affermano che non è mai stato in discussione questo diritto e che in ogni caso i DS hanno ragione a riaffermarlo. Ma non è vero. Vogliamo dimenticarci l’invito rivolto alle cooperative da esponenti significativi dell’imprenditoria italiana a occuparsi soltanto di supermercati?
In quelle parole c’era la dimostrazione di un fastidio, di una sottovalutazione, del fatto che le imprese cooperative vengono considerate, in alcuni settori, come degli intrusi. Ci viene obiettato: “avete fatto il tifo”, ma a parte il fatto che il tifo è l’espressione di un sentimento, di una passione, cosa si vuole dire con questo rimprovero? È una colpa non solo battersi perché Unipol abbia pari diritti, ma anche augurarsi che ce la faccia a esercitarli? Naturalmente sono il primo a chiedermi per quale ragione la nostra attenzione, razionale e fondata su ragioni limpide, sia stato fraintesa, offrendo un’immagine distorta del nostro partito. Né mi sfugge che si sia percepita una nostra sovraesposizione, di cui mi rammarico. Ma anche in questi casi – e su cui certo è giusto riflettere criticamente – nulla giustifica la canea aggressiva con cui siamo stati investiti in queste settimane.
La verità è che non è ancora del tutto riconosciuta alle imprese cooperative la piena legittimità ad essere impresa. E spesso prevale – anche a sinistra – l’idea che le cooperative debbano esaurire la propria funzione in attività sociali o terziarie. E, in ogni caso, si guarda con diffidenza alla possibilità che il movimento cooperativo si possa occupare di credito, finanza e banche. Si dimentica che aderisce alla Confcooperative una robusta rete di 435 Banche di Credito Cooperativo che hanno milioni di clienti, raccolgono miliardi di risparmi, sostengono flussi di investimenti e hanno spesso sostituito sul territorio l’azione assolta per lungo tempo dalle Casse di Risparmio.
E un mese fa – consapevoli quelle Banche dei rischi connessi alle piccole dimensioni di ciascuna di esse – hanno deciso di darsi una forma associativa consortile che consenta loro di operare con dimensioni e strumenti adeguati al mercato nazionale ed europeo. Non solo, ma sottolineo che anche settori del movimento cooperativo contrari all’operazione Unipol/Bnl, sostengono proprio in questi giorni l’opportunità di riprendere un progetto di integrazione tra Unipol e MPS.
E lo stesso progetto industriale di bancassicurazione – su cui naturalmente è del tutto legittimo avere opinioni favorevoli o contrarie – non era e non è una idea stravagante, stante che in molte città italiane sono in corso di apertura gli sportelli di Generali Banca, che da alcuni anni la Ras ha dato vita alla Ras Bank, che tutti i principali istituti bancari – da IMI-San Paolo a Monte dei Paschi alla stessa Bnl – si sono dotate di solide strutture per il settore assicurativo.
Dunque non c’era e non c’è una sola ragione per accettare una inibizione di principio a che Unipol perseguisse l’obiettivo di espandersi nel settore bancario. Non solo, ma voglio ricordare che ogni volta che abbiamo richiesto uguali diritti ed uguali opportunità per le imprese cooperative, abbiamo anche sempre ribadito che tutto dovesse avvenire in modo trasparente sulla base delle leggi e delle regole del mercato. Insomma, a uguali diritti devono corrispondere da parte del movimento cooperativo uguali doveri ed uguali responsabilità.
Non solo, ma proprio perchè consapevoli della necessità di un sistema di regole certe e trasparenti, ci siamo battuti per più di due anni perchè in Parlamento si approvasse una legge sul risparmio capace di rendere più trasparente la governance delle imprese, tutelare risparmiatori e azionisti, riformare l’attività di vigilanza e controllo. E’ infondata la tesi di una nostra incertezza nel valutare criticamente la conduzione di Bankitalia e l’operato del Governatore Fazio, perchè condizionati dalle vicende Unipol.
Ricordo che sono stati i gruppi parlamentari DS a battersi perchè in Parlamento si approvasse il mandato a termine per il Governatore e il trasferimento all’Antitrust della vigilanza sulla concorrenza bancaria, due riforme di cui Fazio è stato fierissimo avversario.
Al punto che quando i nostri parlamentari sono riusciti a far approvare quelle due proposte in Commissione, il giorno successivo Fazio si recò a Palazzo Chigi a chiedere soccorso, che gli venne prontamente concesso da Berlusconi, con il consenso pubblico di tanti che qualche mese dopo hanno invocato le dimissioni del Governatore.
E, in ogni caso, quando sono emersi fatti che hanno dimostrato il venir meno della imparzialità a cui avrebbe dovuto ispirarsi l’azione del Governatore, non abbiamo esitato neanche un istante a chiedergli di fare un passo indietro e, dimettendosi, di compiere un atto di responsabilità verso il Paese.
Dove, dunque si è manifestata una nostra insufficienza? Ciò che, in realtà, non abbiamo visto in tempo, o in ogni caso abbiamo sottovalutato, è che, mano a mano che la scalata evolveva, assumeva connotati e profilo assai diversi da quelli auspicati e previsti inizialmente.
Equivoco e negativo è stato il ruolo di Bankitalia, che è parsa spesso mossa da erronee logiche protezionistiche. Vi è stata una sottovalutazione del movimento cooperativo – e anche nostra – dell’ampiezza e della consistenza delle obiezioni e delle contrarietà da più parti espresse sulla strategia e sulla modalità di acquisizione di Bnl. E’ mancata una strategia di alleanze che rendesse più solidi la compagine societaria, il progetto industriale e il suo finanziamento. Insufficiente la consistenza patrimoniale, ragione invocata ieri da Bankitalia per negare l’autorizzazione a esercitare l’OPA. Si sono determinati intrecci tra le diverse scalate –Antonveneta, Bnl, RCS – offrendo l’immagine di un unico disegno dai contorni equivoci.
Le indagini della magistratura hanno poi fatto emergere comportamenti e fatti di fronte ai quali non possiamo chiudere gli occhi: conti esteri con depositi illeciti, condonati con lo scudo fiscale di Tremonti; consulenze di dubbia motivazione; concertazioni trasversali non dichiarabili; forme di arricchimento personale; commistione tra interessi privati ed interessi societari.
Naturalmente non spetta a noi pronunciarci sul profilo giudiziario di questi comportamenti. E’ la magistratura che deve valutarli e ci auguriamo che gli interessati dimostrino l’assoluta liceità dei loro comportamenti. Ma non c’è dubbio che sono comportamenti del tutto estranei ai nostri valori ed alla nostra storia, tanto più per chi sta in un’organizzazione, come un’impresa cooperativa, che nasce e vive per affermare finalità solidaristiche. E, dunque, su quei comportamenti il nostro giudizio non può che essere molto severo e la presa di distanza assoluta. Nessuna società vive senza principi morali. Il fiume della politica per noi non può che scorrere nel letto dell’etica ed anche l’economia ed il mercato, che pure hanno le loro regole ferree, e spesso spietate, non possono prescindere da principi etici e comportamenti responsabili. Per noi queste sono regole irrinunciabili e quando vengono violate il nostro giudizio critico non può che essere netto ed esplicito.
Intendiamoci, noi non eravamo a conoscenza di molte delle cose che sono emerse in queste settimane. E, tuttavia, anche su questo voglio offrire una riflessione onesta: anche non sapendo, dobbiamo chiederci per quale ragione si sia allentata, anche nelle nostre file, la capacità di prevenire tempestivamente comportamenti non coerenti con principi etici e rigore morale. Certamente qualcosa non ha funzionato, o quanto meno c’è stato un offuscamento della irrinunciabilità di un rigore morale che deve ispirare ogni comportamento di chi ha responsabilità pubbliche o sociali.
Le vicende bancarie, tuttavia, sollevano altri nodi culturali, economici e politici, evocati anche da Romano Prodi, su cui è dovere di tutti – istituzioni, partiti, imprese – riflettere e agire. Emerge, in primo luogo, la necessità di una riflessione sull’identità del movimento cooperativo, su come debba collocarsi un’impresa cooperativa nel mondo della globalizzazione, dell’economia aperta, della competitività. E su quale rapporto si debba stabilire tra il solidarismo che ispira la nascita e la vita di un’impresa cooperativa ed un mercato con le cui regole anche un’impresa cooperativa deve fare i conti.
Rispondere a questi quesiti è tanto più importante di fronte alla dilatazione conosciuta in questi anni dalle forme di impresa sociale e cooperativa, a cui si ricorre sempre di più in importanti attività sociali, di cura, di formazione, ma anche in crescenti attività terziarie e di produzione intellettuale e materiale.
Qui c’è stato e continua ad esserci un deficit di riflessione, elaborazione, proposta che consenta al movimento cooperativo di essere un soggetto pienamente riconosciuto nell’economia di oggi. Per essere più esplicito non è sufficiente pensare che “essere cooperativo è buono”, occorre costruire le regole e le condizioni perché il movimento cooperativo possa esercitare al meglio le sue funzioni. E questo significa anche innovare il quadro legislativo e normativo per farlo aderire meglio ad un sistema di imprese che per dimensioni, finalità, struttura è assai più diversificato di un tempo.
E’ una riflessione che devono condurre non solo i DS, ma in primo luogo tutto il movimento cooperativo.
Anzi, come hanno sottolineato in diverse dichiarazioni Prodi e i Presidenti di Confcooperative e della Lega, è una riflessione che può diventare anche il terreno di un processo di unificazione, anche associativo, dell’intero movimento cooperativo italiano.
Lo stesso superamento del “collateralismo” – che in realtà nelle forme storiche tradizionali da molti anni non c’è più – potrà essere più rapido e visibile attraverso un processo di riorganizzazione del movimento cooperativo che superi le forme di organizzazione storicamente figlie del sistema politico di un’altra epoca. E il fatto che io ponga così in modo aperto la necessità di un nuovo rapporto tra soggetti politici e soggetti associativi è la più onesta dimostrazione che non siamo alla ricerca nostalgica di nessun vecchio collateralismo.
Ma le vicende bancarie di questi mesi pongono un problema di governance, che non riguarda solo le imprese cooperative, ma il più generale sistema delle imprese.
E’ emerso un puzzle di incroci, patti/contropatti, concertazioni, scatole societarie, indicativo di una patologia che rischia di intaccare il capitalismo italiano e i suoi assetti.
C’è qualche cosa di stonato nel fatto che sempre più spesso basta comprare l’1,5-il 2% di una società per controllarla e determinarne i destini.
Né possiamo considerare positivo che i patti di sindacato siano sempre di più dei circoli chiusi e impenetrabili, dove spesso si manifestano intrecci di interessi che poco hanno a che vedere con la trasparenza di conduzione di una impresa.
D’altra parte non è un caso se l’Italia ha la Borsa più asfittica d’Europa e i risparmiatori preferiscano affidarsi a titoli di Stato, anche quando offrono rendimenti bassissimi, piuttosto che investire in altri strumenti finanziari percepiti come rischiosi e incontrollabili.
Insomma, non è più rinviabile l’apertura e l’innovazione del mercato dei capitali e dei risparmi: affrontando il nodo del rapporto tra banche ed imprese; promuovendo il decollo effettivo dei fondi pensione che questo governo, ha rinviato di altri due anni; promuovendo tutte le forme di venture capital; stabilendo che i fondi di investimento non siano proprietà delle banche per superare così un ovvio conflitto di interesse che rende più asfittico il mercato e comprime la concorrenza.
Ed ancora, è tempo di una riflessione sul rapporto tra privatizzazioni e liberalizzazioni, prendendo atto che le sole privatizzazioni possono non essere sufficienti a creare nuovi operatori e promuovere maggiore concorrenza se contestualmente non si fanno politiche di liberalizzazione. Tant’è che in settori strategici si sono creati monopoli ed oligopoli di tipo privatistico non dissimili da quelli pubblici, con un intrecci non sempre trasparenti con il potere politico ed istituzionale.
Insomma: un rapporto tra Stato e mercato che superi definitivamente esperienze stataliste e dirigiste, passa per una chiara distinzione di ruoli e funzioni di ogni attore pubblico e privato. Ci richiama spesso Padoa Schioppa al “modello Wimbledon” fondato su modalità trasparenti di governance delle imprese e su una chiara distinzione di ciò che spetta alle imprese e ciò che compete alla politica.
Alla politica spetta determinare leggi, regole e norme entro cui un operatore economico possa collocare le proprie scelte e promuovere politiche e contesti favorevoli allo sviluppo; mentre le scelte imprenditoriali spettano soltanto e insindacabilmente all’impresa e a chi ne ha la responsabilità.
Molti invocano regole, ma le riforme del diritto societario e fallimentare hanno dato risposte insufficienti e parziali e il governo ha imposto al Parlamento una legge sul risparmio largamente inadeguata, a partire dal fatto che si è abolito il reato di falso in bilancio.
Chi tutelerà gli amministratori sani se ci sarà chi invece potrà falsificare i bilanci senza alcuna responsabilità? E chi tutelerà i soci, gli azionisti, i risparmiatori nel momento in cui non avranno più la certezza di affidare i loro soldi ad amministratori che siano vincolati all’obbligo della trasparenza e della legalità?
In tale contesto non appare soddisfatta la esigenza di una compiuta riforma della Banca d’Italia, gravemente minata nella sua imparzialità e nella sua autorevolezza dalla conduzione di questi mesi. Alla nomina del nuovo Governatore – di cui apprezziamo esperienza e competenza – deve seguire ora una effettiva riforma di Bankitalia, del suo assetto proprietario e delle sue funzioni, contestualmente a un vero e netto rafforzamento dei poteri di Consob e dell’Authority Antitrust.
Anche le vicende di questi mesi ripropongono la necessità di una effettiva ed efficace regolazione dei conflitti di interesse, in particolare nei rapporti tra banche e imprese, così come nei rapporti tra imprese e mezzi di comunicazione.
Da questo quadro emerge la necessità di una forte visione critica sugli assetti del capitalismo italiano e l’urgenza ineludibile di affrontare uno strutturale intervento sul piano economico e politico che riduca il primato della rendita a vantaggio del capitale di rischio e del lavoro e corregga gli effetti distorsivi di una accumulazione affidata sempre più spesso solo a meccanismi di finanziarizzazione.
Peraltro si è visto in questi anni come una esasperata finanziarizzazione acuisca le sperequazioni nella distribuzione del reddito, approfondisca le disuguaglianze economiche e sociali, blocchi l’innovazione, mini la qualità sociale e ambientale dello sviluppo. Il prevalere – nell’assetto proprietario e gestionale di molte grandi imprese private – dei patti di sindacato e del controllo tramite “relazioni” tra ristretti gruppi di protagonisti del sistema finanziario, è una delle fondamentali cause del carattere asfittico, poco dinamico e poco competitivo del capitalismo italiano.
L’apertura alla concorrenza e al protagonismo di nuovi soggetti – la cooperazione, i fondi pensione, il sistema delle medie imprese, il sistema del risparmio gestito e dei fondi di investimento, da separare e distinguere dalle banche – costituisce un primario interesse nazionale.
L’aspetto cruciale rimane, comunque, la grave crisi del paese e il vuoto politico dell’attuale governo. Per questo il nostro sforzo deve essere teso a far sì che la politica ritrovi le forze per dettare nuove regole affinché il paese non si ritrovi in una situazione di sbando irreversibile.
Il nostro impegno deve essere quello di saper offrire ai cittadini uno Stato di diritto che si faccia garante di tutti gli interessi generali. Solo in questo modo potremmo creare un economia nuova, più competitiva che sappia guardare al futuro con quella fiducia che appartiene a chi ha dietro le spalle un progetto autentico di guida del paese. Questo si potrà fare solo se i DS sapranno essere una forza innovativa, trainante della coalizione di centrosinistra. Tutte queste cose, dunque, ci vengono consegnate dalle vicende bancarie di questi mesi. Discutiamone e ragioniamone. E qui c’è una responsabilità di tutti, di chi governa e di chi è all’opposizione, di chi è impresa e di chi è politica.
Non solo, io dico anche di più: affrontiamo anche i temi della governance sul fronte della politica. Non da oggi sosteniamo che i comportamenti di chi ha una responsabilità pubblica non possono essere determinati solo dal rispetto della legge, ma anche da principi deontologici, criteri etici, comportamenti morali. Anche per questi fini servono strumenti.
Si affronti la regolamentazione legislativa dello statuto giuridico dei partiti, come recita l’art. 49 della Costituzione, volta a valorizzare il carattere democratico dei partiti, la loro funzione insostituibile per il sistema democratico e a garantire un serio riconoscimento giuridico per quei soggetti politici e associativi cui si richiede una contribuzione economica.
Si adottino norme più rigorose per la incompatibilità – o comunque la netta distinzione – tra incarichi istituzionali o amministrativi e responsabilità politiche. Si stabilisca di introdurre nella legge sul finanziamento pubblico dei partiti un’Autorità di garanzia imparziale e professionale a cui i partiti sottopongano bilanci e attività.
Noi in ogni caso siamo pronti a farlo subito e per questo propongo di chiedere a cinque personalità professionali e neutrali di riconosciuta autorevolezza di essere partecipi di un “Comitato di Garanti”, a cui sottoporremo ogni anno il nostro bilancio e ogni nostra attività patrimoniale e finanziaria.
Come si vede non siamo arroccati in nessun bunker. Siamo anzi interessati a discutere e a innovare profondamente regole che presiedano alla politica e ai rapporti tra politica e economia.
Teniamo ben chiari due fronti di iniziativa: no, a qualsiasi aggressione politica e morale; sì ad una riflessione critica che ci consenta di trarre dalle vicende di questi mesi indicazioni perché quelle vicende non si ripetano più.
Voglio terminare rivolgendomi ai nostri alleati ed alla nostra gente. Ai nostri alleati – e in primo luogo a Romano Prodi e a Francesco Rutelli – esprimo il nostro ringraziamento per la solidarietà che ci è stata manifestata. Una solidarietà resa più solida dal comune impegno a salvaguardare la coesione del centrosinistra e le possibilità di successo elettorale. Attaccando i DS la destra vuole mettere in crisi l’intera alleanza, così come se si attaccasse la Margherita si metterebbe in crisi l’intera alleanza. C’è dunque un interesse comune a respingere una campagna con cui la destra cerca di evitare una sconfitta elettorale che sente prossima.
Infine alla nostra gente dico che colgo tutta l’ansia, la preoccupazione, il turbamento che agita il loro animo. Voglio dire ai nostri elettori ed agli italiani: siate sicuri, noi siamo gente per bene! Possiamo anche commettere degli errori e quando avviene è giusto riconoscerli e discuterne. Ma i DS sono una forza sana.
La lezione morale e politica di Berlinguer vive in noi ogni giorno, non per una ragione genetica, ma per i comportamenti che ci ispirano, per l’idea della politica che abbiamo e per come la pratichiamo, per come migliaia di nostri amministratori assolvono alle loro funzioni istituzionali, per come serviamo con passione e generosità il nostro Paese, mettendocela tutta, credendo nelle cose che facciamo, con l’intelligenza e l’energia di cui siamo capaci.
Non abbiamo smarrito e non smarriamo la nostra identità di una grande forza riformista e di sinistra. E l’obiettivo di dar vita ad un grande Partito riformista e democratico in Italia non è neanche per un istante rinuncia alla nostra identità, ai nostri valori, al nostro rigore, alla nostra tensione etica. Per questo non dobbiamo avere neanche un attimo di incertezza di fronte all’aggressione di chi ci vuole colpire. Nessuna forma di arroganza o di supponenza che in politica e nella vita è sempre un errore; ma neanche nessuna forma di infondata insicurezza.
Possiamo guardare negli occhi qualsiasi italiano e possiamo combattere a testa alta perché chi vuole travolgerci non passi e mi auguro che tra 90 giorni si abbia quell’esito elettorale per cui abbiamo lavorato in questi cinque anni.
In questi giorni abbiamo visto di quanta passione, generosità, dedizione è fatto questo partito. Mi riferisco non solo al grande moto di solidarietà di cui sono grato ai tanti che me lo hanno manifestato. Mi riferisco alla voglia di reagire che, dopo un iniziale smarrimento, si va manifestando in modo ampio e determinato nel nostro partito e nell’elettorato. Mi riferisco al fatto che in queste stesse ore sono venuti al nostro Partito significative testimonianze di condivisione, come la decisione di aderire ai DS di due significativi esponenti del riformismo socialista come Pietro Larizza, dirigente storico della UIL e del movimento sindacale unitario, e di Pierluigi Severi, vicesindaco della giunta Petroselli.
Lo stesso turbamento così ampio nel nostro elettorato e tra i nostri iscritti dice quale patrimonio di fiducia c’è verso i DS. È questo patrimonio che i nostri avversari vogliono intaccare. È questo patrimonio che noi dobbiamo preservare. E lo possiamo fare se – con umiltà e disponibilità – ci apriamo al confronto con la società italiana dicendo al Paese quel che vogliamo fare e come intendiamo governare.
Per questo chiamiamo tutte le nostre organizzazioni a promuovere immediatamente in ogni città, in ogni territorio iniziative di confronto e discussione sia nel partito, sia con elettori e cittadini. E un momento importante di discussione e orientamento sarà l’Assemblea nazionale dei Segretari di sezione che terremo qui a Roma il 21 gennaio.
Nel promuovere questa ampia discussione democratica intendiamo mettere al centro la nostra proposta per il governo del Paese. La destra tenta di occultare il suo fallimento.
Noi dobbiamo parlare dell’Italia. Di un’Italia che ha conosciuto e conosce una stagnazione della crescita degli investimenti, del redditi, dei consumi. Un’Italia che perde colpi nella competizione internazionale e rischia una riduzione della capacità innovativa e competitiva delle sue imprese. Un’Italia segnata nella vita di milioni di famiglie da una maggiore precarietà di reddito, di lavoro e di opportunità, in primo luogo per i più giovani. Un’Italia che si sente più insicura, guarda al proprio futuro con maggiore incertezza, è meno capace di sperare e scommettere. E’ un’Italia a cui non mancano risorse, energie, capacità, competenze. Ma quest’Italia ha bisogno di una guida che sia capace di restituire speranza, fiducia, voglia di mettersi alla prova. Qui sta la sfida. E qui noi – il centrosinistra – dobbiamo esser capaci di interpretare e rappresentare le domande degli italiani.
Per questo dobbiamo parlare al Paese, partendo dalle sue domande e rendendo evidente e convincente come intendiamo restituire all’Italia e agli italiani quelle speranze e quelle certezze che la destra aveva promesso ma ha deluso.
Decisivo è il grado di coesione dell’Unione di centrosinistra così come è avvenuto in occasione delle elezioni regionali. Una coesione che potrà ulteriormente arricchirsi dell’apporto significativo della “Rosa nel pugno” e del contributo di altre formazioni politiche nazionali e civiche che hanno manifestato la volontà di concorrere al successo del centrosinistra. E la Convenzione programmatica dell’Unione dell’11 febbraio consentirà, peraltro, di rendere visibile la proposta unitaria di governo del centrosinistra. Essenziale è ridare slancio al progetto dell’Ulivo e alla prospettiva di dare vita ad un grande partito democratico e riformista, dando corso con convinzione alle scelte maturare nel nostro Congresso e, in particolare, alla decisione di presentarci agli elettori con la lista dell’Ulivo nelle elezioni per la Camera dei Deputati. Per tutto questo serve un partito sicuro, radicato, capace di trasmettere agli elettori fiducia e serenità.
Oggi lo siamo ed è per questo che le destra ha scelto di colpire noi: proprio per la funzione baricentrica di architrave del centrosinistra che siamo venuti assolvendo in questi anni. Per questo è importante reagire e non smarrire il senso della funzione nazionale a cui, ancora una volta, il nostro partito è chiamato.
Decisiva, in particolare, è la capacità del gruppo dirigente nazionale di esprimere un più alto livello di coesione, di collegialità politica e di solidarietà umana. Per questo condivido l’esigenza di una più ampia collegialità e condivisione di direzione politica che – accanto all’azione quotidiana di direzione della Segreteria nazionale – potrà essere assicurata da più frequenti riunioni della Presidenza della Direzione, la cui composizione assicura la più ampia rappresentatività unitaria. Ed è un segnale importante di questa nostra volontà unitaria che questa importante riunione della Direzione si concluda con l’approvazione di un Ordine del giorno condiviso unanimamente ieri sera dalla Presidenza della Direzione.
Mancano meno di dodici settimane al 9 aprile e sedici settimane alla domenica di metà maggio che vedrà i cittadini di Roma, Milano, Napoli, Torino e molti altri importanti capoluoghi di provincia andare alle urne per eleggere sindaci e consigli comunali. E a giugno ci sarà il referendum sulla revisione costituzionale e la devolution, per la cui promozione è necessario raccogliere 500 mila firme entro l’inizio di febbraio.
Siamo, dunque, al cimento decisivo. Alle spalle abbiamo quattro anni segnati da una costante crescita di consensi del centrosinistra che – dal 2002 ad oggi – ha accumulato successi in ogni passaggio elettorale. E ci sono oggi le condizioni per raccogliere un consenso maggioritario nel Paese.
Tuttavia, guai a dare per scontato l’esito elettorale. Proprio l’aggressione scatenata contro di noi in queste settimane dice quanto sia determinata la destra nel tentare ad ogni costo di evitare una sconfitta. E di come non esiterà a ricorrere a qualsiasi trucco, infingimento e artificio per convincere gli elettori.
Da parte nostra serve, dunque, la mobilitazione piena e incondizionata di ogni energia per far giungere a ogni donna e a ogni uomo del nostro Paese la nostra parola di riscatto, di dignità e di speranza.
So che ciascuno di noi farà la propria parte per essere all’altezza delle aspettative e della fiducia che tanti italiani ancora in questi giorni difficili ci hanno manifestato con passione e generosità.