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lunedì 23 ottobre 2006

Sicilia, il boom degli stipendi d'oro

La Regione ha debiti fino al 2022, ma spende come negli "anni felicissimi"
162 milioni per l'esercito di prima fila. Buste paga dai 50mila ai 200mila euro
Sicilia, il boom degli stipendi d'oro
Burocrate record 1553 euro al giorno
Megaretribuzione per un fedelissimo del governatore Cuffaro
al direttore dell'agenzia acque in busta più di mezzo milione
di ATTILIO BOLZONI

Sicilia, il boom degli stipendi d'oro
Burocrate record 1553 euro al giorno

Il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro
PER agguantare stipendi da favola sono imbattibili. E anche in tempi duri come questi, di manovre finanziarie e di tasse e di tagli, quelli della Regione siciliana fanno sempre bingo. Sono riusciti persino a sfondare il record del mezzo milione di euro, ancora una volta a Palermo si sono mirabilmente superati. In cima alla lista degli uomini d'oro c'è oggi un burocrate che ogni giorno di euro ne intasca 1553. A fine anno ne porterà a casa 567 mila e 300, lordi e comprensivi di tutte le indennità. È un primato assoluto anche nella Sicilia dei suoi califfi.

Ci sono i conti che fanno acqua da tutte le parti, il deficit della Sanità è salito a quasi 1 miliardo e 300 mila, la Regione ha debiti che deve onorare a cambiali sino al 2022 o al 2027, intanto però spende e spande come nei suoi anni "felicissimi". Anzi, di più. Molto di più.

Fino all'ottobre del 2005 la più pagata della burocrazia siciliana era Patrizia Bitetti, quella signora - in pensione dal dicembre scorso - che avrebbe dovuto far quadrare gli sgangherati bilanci di Asl e ospedali. Servizio delegato per un compenso di 480 mila euro. Nel 2006 la Bitetti è stata raggiunta e sorpassata da un fedelissimo del governatore Totò Cuffaro.

Si chiama Felice Crosta l'ultimo favorito dalla sorte, il numero uno dei super stipendiati di quella macchina mangia soldi che è la Regione. E' il direttore generale della neonata Agenzia per le acque e i rifiuti, 120 dipendenti di una struttura voluta e coccolata dal presidente in persona.

Crosta è vicino a Cuffaro da quando lui era assessore all'Agricoltura nel primo governo di centro sinistra a Palazzo d'Orleans: da quel momento i due non si sono mai più separati. Il beneficiario della busta paga al top delle retribuzioni regionali è andato praticamente a sostituire per un incarico - dopo un interregno dello stesso governatore - quell'alto commissario all'"emergenza idrica" nominato dalla Presidenza del Consiglio a cavallo tra il 2000 e il 2001. Era l'ex comandante generale dell'Arma dei carabinieri Roberto Jucci.

Nonostante avesse cominciato a far arrivare più acqua districandosi fra gli interessi e le competenze di 556 enti e consorzi, il generale è stato mandato via dopo quasi un anno. Jucci dormiva in prefettura e aveva accettato la nomina a costo zero.

Solo un rimborso spese. Ci aveva raccontato l'ex comandante, durante i suoi mesi a caccia d'acqua fra le Madonie e le terre arse dell'agrigentino: "Ho una certa età, mangio una volta al giorno e acquisto due vestiti l'anno, quando il governo mi ha chiesto di scendere in Sicilia mi è sembrato corretto non farmi pagare".

Da 0 a 567 mila e 300 euro per il direttore generale che sovrintende alle acque. E fino a 162 milioni di euro per tutti i dirigenti. Un esercito: alla Regione sono 2220. Nei giorni scorsi qualcuno, a Palermo, ha esaminato alcune tabelle e poi ha confrontato i numeri della Regione Lombardia e quelli della Regione Sicilia. La prima paga i suoi dirigenti poco più di 19 milioni di euro, la seconda arriva appunto a 162. Quasi nove volte di più. A Milano c'è in Regione un dirigente ogni 60 dipendenti, a Palermo un dirigente ogni 6 dipendenti e un capoufficio ogni 2. Sono le performance dell'Anonima che spadroneggia alla Regione.

Gli stipendi dei dirigenti variano dai 50 mila euro fino ai 200 mila dei capoccia dei dipartimenti o di quelle che vengono chiamate "strutture temporanee", che però sopravvivono da anni e anni. I più remunerati naturalmente sono i capi di quei 32 dipartimenti e di quegli uffici speciali "assimilati" ai dipartimenti. La sede di rappresentanza della Regione a Bruxelles, per esempio, è stata appena "elevata" al rango di dipartimento.

Dal 2003 al 2005 sono passate da 375 a 539 le "aree" o i "servizi" o le "unità operative" della Regione, un aumento del 43 per cento. Su ciascuna area o servizio o unità operativa è seduto un dirigente che percepisce un'indennità gallonata. I posti più ambiti sono 600. Chi ce la fa a entrare in un ufficio di gabinetto ed è "in diretta collaborazione" con qualche assessore, è messo in condizione di guadagnare anche il doppio di un pari grado. Quei 600 baciati dalla fortuna costano circa 10 milioni di euro alle casse regionali.

Ma sopra tutto e tutti ci sono loro, i 9 nuovi uomini d'oro. Capi del Fondo sanitario. Capi della Programmazione. Il Capo della burocrazia di Palazzo d'Orleans. E sopra di loro quel Felice Crosta con i suoi 1553 euro al giorno. E' di queste settimane l'ultima "rivoluzione" nei palazzi della Regione. Nuove nomine, trasferimenti, rotazioni. Per alcuni è stata come una tombola.

Rafforzato l'asse fra l'Udc e Forza Italia e l'Mpa dell'autonomista catanese Raffaele Lombardo, il governatore Cuffaro e i suoi alleati hanno piazzato - ai margini della spartizione questa volta è rimasta solo Alleanza nazionale - tutti i loro uomini nei posti chiave dell'alta amministrazione. Ai Beni Culturali. All'Agricoltura. Alla Sanità. Promozioni di manager tutti "targati" ai vertici e sistemazioni più laterali per gli altri: Corpo delle miniere; Istituto Vite e Vino; Istituto Olio e Olivo.

Ma non contenti di tanto scialo, avevano provato anche a ripescare una "leggina" votata dal parlamento regionale nel 2003. Una delle tante vergogne dell'Ars. In sostanza la "leggina" prevedeva la riassunzione a tempo determinato di alti burocrati della Regione, gente che se ne andava a casa con pensioni da nababbo ma veniva richiamato dall'amico politico di turno come capo gabinetto, direttore generale di qualche struttura o commissario di qualche ente. Un ritorno con tripla indennità: oltre la pensione 50 mila euro annui e anche una gratifica di 35 mila euro, proprio come quella intascata dai dirigenti regionali in servizio permanente effettivo.

Un "ripescaggio" di burocrati in pensione che ha perfino fatto scandalizzare qualcuno all'Ars. Così nel nuovo contratto in scadenza già dalla fine del 2002, la Regione ha ipotizzato tagli a quelle laute indennità elargite ai pensionati con incarichi dirigenziali. Evento clamoroso. Una simile rinuncia - a memoria d'uomo - non si era mai verificata prima all'Ars, l'assemblea regionale siciliana.

(23 ottobre 2006)

martedì 10 ottobre 2006

Tutta la verità sulla Finanziaria

Come è naturale la legge finanziaria ha suscitato dibattito, interrogativi, critiche, qualcuna anche da sinistra. Molti cittadini si sono messi a calcolare il proprio interesse personale. Altri, soprattutto imprenditori, sindacalisti, politici, amministratori, si sono fermati a ragionare su questo o quel punto della manovra. È normale e legittimo. Ma è anche importante che nella discussione non si perdano di vista il disegno generale, le condizioni in cui ci troviamo a operare, la necessità di riprendere la via del risanamento e nello stesso tempo di dare una spinta allo sviluppo e di fare i primi passi per un riequilibrio dell’equità.

Le condizioni del Paese sono precarie e critiche. I problemi sono strutturali. L'Italia non cresce, la produttività è stagnante, le classifiche di competitività la collocano agli ultimi posti, è il Paese in cui i livelli di povertà sono nettamente superiori alla media europea, la distribuzione del reddito e della ricchezza è più disuguale, la mobilità sociale maggiormente ostacolata dalle corporazioni e dal privilegio. Mentre nel 2000 il Prodotto interno lordo pro-capite superava e non di poco quello medio europeo, oggi è inferiore alla media europea.

In sostanza, anche se la consapevolezza fatica a farsi strada, l'Italia corre un rischio serio di declino e di declassamento. È in questo contesto che si colloca e va valutata la manovra economica.

Oggi chi ha la responsabilità di governo deve affrontare prove del fuoco ogni giorno. Appena insediati abbiamo scoperto che erano finiti i denari per tenere aperti i cantieri delle opere pubbliche. La destra aveva scientificamente finanziato quelle opere fino a qualche settimana dopo le elezioni, nella consapevolezza di lasciare il crollo successivo sulle spalle di altri. Non era l'unica pillola avvelenata. Ne abbiamo trovate altre, come dimostra la storia della detraibilità dell'Iva sulle auto, costata miliardi. In uno spettacolo televisivo potrebbero essere scherzi divertenti. Ma non siamo in uno show. La realtà è un'altra cosa. Lo sa bene chi le difficoltà della vita deve affrontarle ogni giorno con i pochi mezzi che ha a disposizione, in una società sempre meno solidale, dove gli ultimi anni sono stati spesi lasciando correre senza freni la spesa pubblica e dove è avvenuta anche attraverso questa strada - ecco un'altra cosa da non dimenticare - una clamorosa redistribuzione del reddito sotto forma di facili arricchimenti, di speculazioni immobiliari, di crescita illimitata di patrimoni mobiliari e possibilità di evadere o di chiudere con pochi euro, grazie ai condoni, il rapporto con il fisco. Una ricchezza gigantesca è stata spesa, sprecata, ma anche ridistribuita.

Quello che ci troviamo di fronte oggi è un Paese debole e socialmente spappolato, dove i giovani stentano a trovare un lavoro che non sia precario, i figli delle famiglie meno abbienti partono con svantaggi enormi, la formazione fa acqua, le grandi imprese tranne poche eccezioni prosperano solo nei settori della rendita e gli investimenti privati e pubblici nella ricerca e nell'innovazione sono ridotti al lumicino. In questo contesto resta naturalmente giusto che ciascun cittadino faccia i propri conti rispetto alle norme della finanziaria. È giusto che ciascuno esprima liberamente le proprie critiche e affondi pure la lama. Ma forse non sarebbe sbagliato aspettarsi dalla classe dirigente una risposta più attenta agli interessi generali del paese, della collettività, che a quelli dei singoli.

Da qui qualche riflessione che desidero condividere con i lettori de l’Unità.

1. Dopo cinque anni di governo della destra sono rimaste macerie. Non è detto che un governo di destra governi per forza male. Ma la destra italiana si è dimostrata una specialista in questa operazione. A testimonianza che sapevano bene di aver già superato la linea, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti avevano già dovuto trovare un accordo con la Commisione europea sulla necessità di rientrare nei parametri di Maastricht. Ma alla luce dei dati reali l'eredità è apparsa ben più pesante. Di fatto, sono stati azzerati gli sforzi di oltre dieci anni di risanamento. Negli anni Ottanta, con i governi pentapartito, il debito pubblico era raddoppiato. Negli anni Novanta, dopo il rischio del fallimento dell'intero Paese, fu avviata ad opera dei governi di centrosinistra una faticosa opera di risanamento e rilancio. Ora siamo daccapo. Anzi peggio, perché molte delle risorse che potevano essere utilizzate sono state bruciate. E il debito pubblico (oltre 67 miliardi di euro l'anno li spendiamo di interessi) impegna risorse che vengono sottratte ad impieghi più positivi.

2. Nell'ambito di un contesto già così deteriorato, il governo Prodi si è trovato ad affrontare l'emergenza di inizio estate. Abbiamo risposto con il decreto di luglio che ha aperto le porte alle liberalizzazioni e alle prime, concrete misure contro l'evasione fiscale. Sono state trovare risorse aggiuntive e strutturali per quasi 6 miliardi di euro l'anno. Ma non era giusto fermarsi. Il progetto del centrosinistra è di avviare - di nuovo -un difficile risanamento della finanza pubblica, ma anche di spingere il paese ad accrescere la produttività. Il rischio di restare spiazzati in un mondo in cui si affacciano nuovi protagonisti è forte. Bisogna reagire, senza cedere all'idea di chiudersi. E non basta. Un governo di centrosinistra non poteva avviare un'operazione del genere senza dare un sostegno alle tante famiglie che non arrivano alla fine del mese, cominciando naturalmente ad operare con le risorse a disposizione.

3. Per la parte che riguarda il fisco, con la manovra finanziaria per il 2007 il governo ha restituito gran parte delle nuove entrate sotto forma di redistribuzione verso i redditi più bassi (riforma aliquote e scaglioni dell'Irpef, detrazioni di imposta, cioè tagli, per carichi da lavoro, detrazioni di imposta per carichi di famiglia, più assegni familiari), di finanziamento dello sviluppo e di iniziative sociali (riduzione del costo del lavoro e del peso del fisco sugli stipendi, pacchetto energia, detrazione per gli investimenti nel Sud, sgravi per commercio, sgravi per gli affitti dei giovani universitari fuori sede, delle assunzioni delle donne nel Sud, per l'acquisto dei computer da parte degli insegnanti o per l'attività sportiva dei ragazzi...). Di fatto, l'aumento netto si aggira intorno ai 4 miliardi di euro, se si tiene conto della riduzione dell'Irap per le imprese decisa per abbassare il costo del lavoro (cuneo fiscale), ed è rappresentato da una parte degli altri 8 miliardi di euro di nuove entrate derivati da ulteriori misure contro l'evasione fiscale e dalla rivisitazione degli studi di settore per gli autonomi.

4. La maggioranza aveva dichiarato nel programma che avrebbe, a parità di gettito, ridistribuito il reddito verso il basso, che avrebbe sostenuto la famiglia e i figli, che avrebbe sostenuto i redditi dei pensionati. Non solo. Molti suoi rappresentanti, a cominciare dai ministri e dallo stesso presidente Prodi, avevano criticato le storture introdotte con il secondo modulo della riforma Tremonti. Con la riforma dell'Irpef sono stati cambiati aliquote, scaglioni di reddito, detrazioni per lavoro e detrazioni per famiglia, assegni familiari. Per finanziare questa operazione sono stati impegnati oltre 7 miliardi di euro, anche di più di quanto era costato il secondo modulo di Tremonti. L'effetto finale va visto tutto insieme, senza limitare il ragionamento alle sole aliquote o alle sole detrazioni, altrimenti si fanno esempi stralunati come quelli visti in alcune edizioni dei tg del servizio pubblico o nei giochini di siti di informazione consultati da milioni di utenti dove c'è scritto "calcola il tuo reddito" e poi, in una nota in corpo 6 si aggiunge che non ci sono gli assegni familiari, che sono invece una parte fondamentale della riforma.

La verità è che i redditi più bassi sono stati alleviati. Il reddito minimo sul quale non si pagheranno le tasse è aumentato per i pensionati da 7.000 a 7.500, livello attuale dei lavoratori attivi. Per i dipendenti è passato da 7.500 a 8.000 euro l'anno. Per gli autonomi da 4.000 a 4.800. E non solo. Basti pensare che un lavoratore con coniuge e due figli a carica e con 21.500 euro di reddito lordo l'anno, che equivalgono a uno stipendio netto di 1.468 euro netti al mese per 13 mensilità guadagnerà 61 euro netti al mese in più. Con un reddito di 25.000 euro lordi l'anno e cioè uno stipendio netto di 1.651 euro netti al mese per 13 mensilità guadagnerà 52 euro netti al mese in più. Con 28 mila euro lordi di reddito guadagnerà 41 euro netti al mese in più. Non sono figure marginali. La gran parte dei lavoratori dipendenti, ma anche molti lavoratori autonomi che hanno piccole attività, si trovano in queste condizioni. Gli assegni familiari, in questa manovra, sono stati aumentati di 1.400 milioni di euro proprio per sostenere di più le famiglie numerose. Degli oltre 7 miliardi destinati alla riforma dell'Irpef, oltre la metà sono stati impegnati sui lavoratori dipendenti, in modo da raggiungere il risultato di una riduzione media di 2 punti del cosiddetto cuneo fiscale, cioè la differenza tra retribuzione lorda e paga netta. E consistenti risorse sono state dedicate all'interno della manovra dell'Irpef ai pensionati.

5. Con le entrate aggiuntive diverse dall'Irpef (che vista nel suo insieme non fornisce gettito aggiuntivo) è stato inoltre finanziata la parte della manovra destinata a promuovere più sviluppo e più lavoro. La riduzione del cuneo fiscale per le imprese è stata ottenuta abbattendo il peso dell'Irap per ognuno dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, in modo da tagliare il costo del lavoro per le aziende ma anche di spingerle a stabilizzare l'occupazione.

Le detrazioni per gli investimenti al Sud. Gli sgravi per il pacchetto energia presentato dal collega Bersani (dai pannelli solari ai macchinari per le imprese). Le altre agevolazioni fiscali. Tutto va visto insieme: il decreto di luglio, i provvedimenti di Bersani per la politica industriale, la manovra economica per il 2007. Senza dimenticare la lotta all'evasione fiscale. Dei circa 6 miliardi relativi al decreto di luglio ben 5 derivano da misure contro l'evasione e l'elusione fiscale e altri 8 con la legge finanziaria e i provvedimenti collegati. Si tratta di un punto di Pil di imposte evase o eluse e che nel 2007 contiamo di far emergere e incassare.

6. È poco? Il governo ha già messo nel conto ulteriori passi, a cominciare dalle riforme strutturali destinare ad eliminare gli sprechi nella spesa pubblica. Con i sindacati si discuterà di previdenza. Sulla sanità è cominciato un percorso. Con i comuni è in corso un difficile confronto, che tuttavia non può e non deve finire senza il cambiamento dei meccanismi di spesa, che devono essere rinnovati a livello centrale ma anche in periferia. Non sarà facile. Ci vogliono determinazione e tempo. È necessario per esempio riuscire a rendere trasparente ogni spesa, sapere chi la fa, dove finisce, a che cosa serve. Bisogna riorganizzare la Pubblica Amministrazione e fare in modo di avere tutte le informazioni in rete. Non possiamo più accettare che si conosca la reale portata di spese e entrate, centrali e periferiche, con settimane se non mesi di ritardo. È il passaggio decisivo per individuare gli sprechi e parlare di riforma della spesa pubblica senza ridursi a discutere solo degli «aumenti» che ogni anno i dirigenti tecnici dei diversi dicasteri portano come proposta ai ministri. Senza questo passaggio continueremo ad essere ostaggio di una logica da anni Ottanta, delle solite ricette sui tagli
alla spesa sociale.

Ma decisiva sarà altrettanto la crescita dell'efficienza dell'amministrazione nel far emergere l'enorme fetta di evasione che frena come una palla al piede il nostro paese, crea un clima di concorrenza zoppa a favore dei disonesti, scoraggia coloro che vorrebbero competere rispettando le regole: uno sforzo che abbiamo cominciato a fare e i cui frutti serviranno per alleviare poi il peso della pressione fiscale sugli onesti.

7. Quello che dobbiamo fare, insomma, è un cammino che tiene tutto insieme. E che non è affatto facile da compiere nella situazione data, anche se l'economia mostra di essere in leggera ripresa. All'Italia, se davvero vuole evitare un lento declino, questo livello di crescita non basta. Non è sufficiente per garantire alle imprese un futuro sicuro. Non è sufficiente per assicurare ai giovani, ma non solo, che sia possibile stabilizzare e anzi aumentare l'occupazione. Se la crescita resta stentata e non si affronta il problema del debito pubblico, con gli interessi da pagare per gli errori del passato, poche saranno le risorse da destinare all'investimento, all'equità, alle infrastrutture, al miglioramento dei servizi. È un problema di tutti e per tutti. Tutti insieme dobbiamo rimetterci in gioco, dunque, ciascuno per la propria parte, anche affrontando percorsi difficili. L'esempio, come è ovvio, deve venire dalla tolda di comando: da coloro che oggi hanno l'ambizione, l'orgoglio, ma anche la responsabilità di essere la classe dirigente. E tutti, proprio tutti, devono dare il proprio contributo, fare la propria parte.

mercoledì 26 aprile 2006

Facite ammuina

Ora nel quartier generale di Forza Italia, dopo che i petardi di Calderoli sono andati a vuoto, si pensa ad un'altra miccia da accendere, allo scopo di ritardare il riconoscimento del governo di Romano Prodi. L'idea è di sparpagliare disciplinati emissari per tutta la penisola. Incaricati di bussare alle porte delle abitazioni dei ventiquattromila cittadini italiani che votando per l'Unione hanno osato far perdere la maggioranza al centrodestra. Saranno controllati uno per uno. E se risponderanno di voler confermare quella loro dissennata volontà, solo allora (forse) il governo Prodi sarà legittimato da Berlusconi e dai suoi cari

E' un'attesa spossante. Il timore è che si arrivi così fino ai campionati mondiali di calcio di giugno e poi, trascorse la vacanze, a Natale. Invano i dirigenti imbarazzati dell'Udc e di An strattonano il premier uscente, gli regalano cellulari all'ultimo grido, lo implorano di chiamare, alla fine, il vincitore. Niente. Il cavaliere è irremovibile. Gli sta accanto Tremonti che ormai vede, passeggiando, montagne di cassette di schede nei fossi. E sembrano decisi anche ad invalidare la pretesa di concedere lo scudetto alla Juventus invece che al Milan.

Il popolo assiste inorridito. Già è sconcertato da una campagna elettorale che ha costretto molti a cambiare il proprio vocabolario. Conosciamo signore che solevano dare del coglione al proprio amato. Ora capita che costui invece di adirarsi, risponda con teneri sospiri, nonché sorrisi ambigui e compiaciuti.

Certo, i conti nazionali vanno a rotoli, l'economia boccheggia, i precari si disperano, il petrolio vola. Ma trattasi di problemi secondari.

Avevamo previsto, in caso di sconfitta del Cavaliere, tuoni e fulmini. Dopo di lui il diluvio. Sulla falsariga di Nanni Moretti e del Caimano. Dobbiamo ricrederci. Berlusconi, semplicemente, fa finta di nulla. Non è successo niente. Magari sta a Palazzo Chigi e strimpella col suo fido Mariano Apicella. Insomma, dopo di lui "l'Ammuina". Trattasi di un antico editto ("facite ammuina") del Regolamento della Real Marina del Regno delle due Sicilie: "Tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa". Tutti quelli che stanno a prora vanno a poppa e viceversa, mentre tutti quelli che stanno in alto vanno in basso e viceversa. E' l'appello a creare confusione, un gran casino. Sicchè nessuno possa capire che cosa mai sia successo e stia succedendo.

giovedì 20 aprile 2006

Cdl divisa. Forza Italia non ci sta, l'Udc fa gli auguri a Prodi

In attesa di un commento di Berlusconi, rientrato a Roma e chiuso a palazzo Grazioli con i leghisti Calderoli e Maroni, la Casa delle Libertà si divide di fronte al verdetto della Cassazione sulle elezioni. Il forzista Giulio Tremonti – il cui pensiero dovrebbe essere molto vicino a quello del premier uscente – mastica amaro e non ingoia il boccone. Pretende «un supplemento di controlli». Un’inesausta serie di verifiche: «Ci sono le corti di appello, ci sono le giunte del nuovo Parlamento... Poi, alla fine di tutti i controlli, è giusto che chi avrà anche solo un voto in più vincerà le elezioni». Insomma, non è ancora venuto il momento per riconoscere la sconfitta, almeno per lui.
Anche il coordinatore azzurro Sandro Bondi evoca inesistenti controlli ancora da effetturale: «Prendiamo atto della decisione della Cassazione, un giudizio contabile limitato alle schede contestate ed ai verbali ma che prescinde dalle schede annullate che sono più di un milione. Restano perciò impregiudicate le riserve che abbiamo avanzato e che continueremo a far valere nelle sedi opportune»
Forza Italia è scatenata. L'emiliana Isabella Bertolini accusa di irregolarità le verifiche della Corte d'Appello di Bologna: «I dati trasmessi alla Corte Suprema relativi alle verifiche dei voti per l'Emilia Romagna non sono veritieri ma sono stati inviati ugualmente anche se non corrispondo alla reale volontà democratica dei cittadini. Quindi come può essere legittimato il verdetto finale? Sono necessari nuovi controlli».
Completamente diversa la reazione del segretario Udc Lorenzo Cesa, che si congratula prontamente con il vincitore: «Nel momento in cui la Cassazione sancisce la vittoria dell'Unione alle elezioni politiche per la Camera dei deputati, rivolgo a Romano Prodi il nostro augurio di buon lavoro nell'interesse dell'Italia e degli italiani. L'Udc svolgerà con serietà e impegno la sua battaglia in Parlamento e nel Paese per assicurare un'alternativa di governo ai tanti italiani moderati che ci hanno dato la loro fiducia». Dal suo predecessore Marco Follini un duro monito rivolto direttamente a Berlusconi: «Il risultato c'è e i custodi della democrazia dell'alternanza non possono che prenderne atto. Spero che Berlusconi scelga di sfidare il centrosinistra sul terreno della politica e lasci gli azzeccagarbugli al loro destino»
Resta a metà del guado, incerto, il portavoce di An Andrea Ronchi: «Prendiamo atto delle decisioni della Cassazione - dice -Rimane il problema posto dal ministro Calderoli». Epure il ricorso dell'ex ministro leghista contro la Lega Alleanza Lombarda è stato respinto. Qualcuno avverta il partito di Fini.

sabato 1 aprile 2006

l’Italia si è liberata dell’incubo Berlusconi

 

Non le sfugge, naturalmente, che per le strade gira anche chi continua a votare centrodestra, quasi la metà del corpo elettorale…
«Certo, non mi sfugge. Le elezioni ci consegnano uno scenario complesso, molto diverso da quello che, ancora poche ore prima dello scrutinio, i sondaggi avevano delineato…».

Come lo spiega?
«La campagna elettorale è stata caratterizzata da uno scontro politico molto aspro che ha prodotto una mobilitazione del corpo elettorale più vasta di qualsiasi altra consultazione precedente. Le cito un dato: nel 2001 astensioni e schede bianche ammontavano a tre milioni. Nel 2006 sono scese a un milione. Gli italiani che hanno votato sfiorano i 39 milioni, la più alta cifra di voti validi da tempo immemorabile…».

Aveva ragione Berlusconi a sostenere che un'alta percentuale di votanti avrebbe favorito la Cdl?
«Avrebbe avuto ragione se avesse vinto, ma così non è. C'è stato un vastissimo afflusso alle urne e ha vinto il centrosinistra. In ogni caso, quanto più alta è la partecipazione al voto, tanto più è solido il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. L'altissimo numero di elettori, però, deve indurci ad analizzare il voto partendo dalle cifre assolute, più che dai dati percentuali. Vorrei fare l'esempio dei Ds…».

Il dato dei Ds non era quello che vi attendevate…
«Arriverò anche a questo. Parto da una premessa. Il risultato ottenuto dal mio partito non può essere valutato comparando il 17,5% del Senato con il 16,2% della Camera di cinque anni fa. La platea elettorale è cambiata in maniera consistente dal 2001. E, a parte l'improprietà di comparare il Senato alla Camera, dove votano i giovani dai 18 ai 25 anni che questa volta si sono pronunciati in gran parte per l'Ulivo e che in buona parte avrebbero votato per il nostro simbolo. A parte questo, dicevo, sono le cifre assolute che danno il segno. E questo per via del livello di partecipazione enormemente più alto nel 2006 di quello delle politiche del 2001, delle amministrative, delle regionali, delle provinciali e delle europee».

E cosa dicono le cifre assolute?
«Dicono che i Democratici di sinistra prendono più voti di quelli che hanno avuto da quando nacque il Pds, con la sola eccezione del 96. I Ds sono il primo partito del centrosinistra in 18 regioni su 20 e in molte regioni, poi, siamo in assoluto la prima forza politica».

Berlusconi veniva dato per sconfitto. Come ha fatto a recuperare sfiorando la vittoria?
«La sua campagna elettorale ha prodotto un ricompattamento consistente dell'elettorato di centrodestra. Berlusconi ha conseguito questo obiettivo con una legge congegnata appositamente per rompere ogni rapporto tra territorio e Parlamento, con la sparizione dei collegi, e per tagliare l'identificazione tra elettori ed eletti, con l'abolizione delle preferenze. Così ha scardinato due punti tradizionalmente favorevoli al centrosinistra, il peso dell'organizzazione politica diffusa nel territorio e il ruolo dei candidati, mediamente più credibili di quelli del centrodestra».

Quanto ha pesato la tv?
«È l'altra faccia della medaglia. Quella legge elettorale, infatti, ha consentito a Berlusconi di costruire un rapporto diretto di tipo populistico, leader-popolo, mediato dalla televisione. E in questa campagna elettorale gran parte del rapporto tra politica ed elettori è passato attraverso la tv».

Ha cambiato campo, cercando di giocare la partita in casa, in sostanza…
«Proprio così: con quella legge ha modificato il terreno della competizione elettorale, per averne uno più favorevole…».

E senza la par condicio avrebbe fatto bingo?
«Se l'avesse abolita avrebbe giocato in 22 senza alcun arbitro. Ma c'è stato un altro elemento che ha consentito un recupero al centrodestra».

Quale?
«Una volta costruito un rapporto diretto con il popolo, Berlusconi ha avuto la capacità di veicolare messaggi che parlassero all'Italia profonda, a quella più facilmente mobilitabile facendo leva sulla paura, sull'ansia. E i suoi messaggi erano un impasto tra interesse immediato e ideologia. "Attenzione, arrivano loro e vi toccano la roba e ve la toccano perché sono comunisti". Un impianto che ha dimostrato una certa efficacia perché ha consentito a Berlusconi di compattare il suo elettorato e di recuperare chi, tra il 2002 e il 2005, aveva mostrato delusione astenendosi».

Resta il fatto che anche questa volta il centrosinistra non è riuscito ad entrare in contatto con quell'Italia profonda di cui lei parla. Non ha pesato anche una certa confusione sulle tasse?
«Certamente l'aver proposto misure fiscali in campagna elettorale ci ha esposto molto. Anche perché il tema delle tasse suscita paure, ansie e inquietudini non superabili soltanto con la razionalità politica. Queste elezioni ci confermano, comunque, che c'è una parte del Paese al quale non siamo riusciti ad arrivare. E ci dice quanti guasti ha prodotto il berlusconismo e la sua idea che tutto sia sempre riconducibile all'interesse particolare di ciascuno. Non è senza significato che abbia detto "non saranno tutti coglioni a votare contro i loro interessi..". Si è rivolto a un'Italia profonda facilmente mobilitabile con parole d'ordine che sollecitano la difesa degli interessi più minuti e concreti. Anche questa volta, come nel 2001, Berlusconi ha giocato principalmente sul tema delle tasse. Tasse come emblema di uno Stato lontano, nemico, espropriatore».

Nonostante questo, però, il centrodestra ha perso le elezioni.
«In realtà, Berlusconi non ce l'ha fatta perché è cresciuto in modo sempre più largo il rifiuto del suo modo di governare, dei suoi messaggi, dei modelli di comportamento, dello stile di vita che proponeva. Si è consolidato nel Paese il rifiuto di Berlusconi e del berlusconismo come modo di guardare al mondo e alla vita».

Il centrosinistra al governo avrà molto da fare e con maggioranze parlamentari non certo ampie…
«Sì, c'è molto da fare. Ma partiamo dal dato che il centrosinistra ha vinto conquistando moltissimi voti. Per l'Unione, complessivamente, hanno votato oltre 19 milioni di elettori, il più alto consenso elettorale dal 1994. Un esito ottenuto sia conquistando voti al centrodestra, sia recuperando una grande quota di astensioni. C'e stato, poi, un contributo straordinario del voto giovanile, tutti gli indicatori ci dicono che i giovani hanno votato in massa per l'Unione e per l'Ulivo».

Lei aveva spiegato che al successo dell'Ulivo avrebbe corrisposto l'accelerazione sul Partito democratico. Il 31% alla Camera consente questo traguardo?
«Il successo dell'Ulivo ha trainato il successo elettorale dell'intero centrosinistra. L'Ulivo conferma di essere in grado di raccogliere il voto di un terzo del corpo elettorale e di due terzi di quello degli elettori del centrosinistra. Adesso bisogna accelerare il processo politico e dare alla maggioranza di centrosinistra coesione e solidità attraverso la nascita di una vera e grande forza democratica che abbia ampiezza di consensi e solidità di radici sociali. Bisogna trasformare l'Ulivo in un forte soggetto politico. Il cammino di questi 10 anni ha bisogno di trovare sbocco in quel partito democratico e riformista di cui l'Italia ha bisogno».

E quando dovrebbe nascere, secondo lei?
Penso che all'indomani della formazione del governo dovremmo mettere in atto il progetto di costruzione di un nuova grande forza politica che possa dare rappresentanza al riformismo italiano. E per tutto questo è evidente il ruolo e la funzione centrale dei Ds».

Quanto ha inciso sul risultato dell'Ulivo il peso dei Ds?<font>
«Credo che i Ds debbano essere soddisfatti, perché sull'Ulivo i Democratici di sinistra hanno investito tutta la loro forza in questi anni. Il successo dell'Ulivo è, in primo luogo, il successo dei Ds. E ho trovato un po' ridicolo qualcuno che in questi giorni ha cercato di spiegarmi che il voto per i Ds è una cosa e quello per l'Ulivo è un'altra. I Ds sono stati la forza che si è battuta con più determinazione perché si facesse l'Ulivo alla Camera. Se fosse dipeso solo da noi si sarebbero fatte la lista unitaria anche al Senato e le liste dei presidenti in alcune regioni. Tutti sanno che non sono stati i Ds a opporsi a questa eventualità».

Sono andati bene anche i partiti della cosiddetta sinistra radicale. C'è chi sostiene che ciò è stato possibile grazie al voto di potenziali elettori diessini contrari al Partito democratico…
«È avvenuto l'esatto contrario. È stato il buon esito dell'Ulivo che ha trascinato le forze minori. I verdi, il Pdci, l'Italia dei Valori, che hanno accompagnato seppure con un loro profilo la campagna elettorale unitaria di Prodi, sono stati premiati. Le forze che hanno cercato maggiormente di distinguersi, la Rosa nel pugno da una parte e Rifondazione dall'altra, siano quelle che hanno avuto risultati meno brillanti».
E i rapporti tra Ds e Margherita come escono da queste elezioni?
«È del tutto evidente una difficoltà della Margherita a tenere il suo elettorato. Quattro punti percentuali su base nazionale, dal 14 al 10%. Un cedimento in tutte le regioni, con punte anche preoccupanti, come in Sicilia, in Veneto, in Campania e a Roma. Nella prospettiva di costruire un partito dell'Ulivo bisognerà riflettere attentamente su come recuperare gli elettori che la Margherita non è riuscita a tenere. Quanto ai Ds, nel 2001 c'eravamo posti tre obiettivi: riportare il centrosinistra al governo del Paese, ricostruire l'Ulivo e di fare della Quercia la forza baricentrica della coalizione. Abbiamo battuto Berlusconi, abbiamo ricostruito il centrosinistra, abbiamo rilanciato l'Ulivo e i Ds sono la principale forza dell'Unione. Aumentiamo in nostri voti ovunque, anche se il dato percentuale non dà conto in modo sufficiente di questo incremento».

I sondaggi, però, accreditavano ai Ds percentuali più elevate…
«Avevano forse ingenerato aspettative, che poi hanno prodotto una certa delusione. Attenzione, però, se guardiamo alle cifre assolute e all'esito complessivo nessuna persona onesta potrebbe disconoscere che i Ds escono da queste elezioni come la forza determinante per la vittoria del centrosinistra».

Centrosinistra che riuscirà a governare, con una maggioranza così risicata al Senato?
«Dal voto esce una maggioranza che ha vinto le elezioni, anche se con un margine di vantaggio ridotto. Questa è ormai una cosa evidentissima. Berlusconi non accetta di essere sconfitto e ha imbastito una campagna strumentale sui brogli per far credere che l'esito delle elezioni sia incerto. Non è incerto. Il centrosinistra ha vinto, il fatto che abbia ottenuto al Senato una maggioranza piu' risicata non significa che la vittoria sia meno legittima. Il primo obiettivo, quindi, è dare vita a un governo espressione dell'esito del voto».

E che dovrà governare un'Italia spaccata in due…
«È per questo occorre che ci sia un governo forte e autorevole. E occorre che chi governa non lo faccia con arroganza. Prodi, io e altri dirigenti abbiamo detto che vogliamo governare l'Italia facendoci carico delle aspettative, delle domande e delle esigenze di tutto il Paese, degli elettori che hanno votato centrosinistra e di quelli che hanno votato centrodestra».

Ci sono scadenze istituzionali immediate a cui far fronte: presidenze delle Camere ed elezione del nuovo Capo dello Stato. Quale metodo seguirete per dipanare la matassa?
«Una regola di tutte le democrazie, dove vige l'alternanza bipolare, vuole che i presidenti delle camere vengano espressi dalla maggioranza che vince le elezioni. I presidenti delle Camere non sono notai, sono figure politiche che assolvono un ruolo politico. Quello che hanno esercitato Pera e Casini per la vicenda della legge elettorale. Se ci fosse stata una diversa conduzione dell'Aula, ad esempio, quella brutte norme non sarebbero state varate. Nel '94 il centrodestra, che non aveva la maggioranza al Senato, si battè in tutti i modi per eleggere Scognamiglio».

Quindi?
«Quindi non si capisce perché il centrosinistra dovrebbe seguire una regola diversa. Presidenze di Camera e Senato, quindi, in partenza devono essere espressione della maggioranza di governo, salvo che intervengano valutazioni e accordi diversi di qui al 28 di aprile, quando si insedierà il nuovo Parlamento. Tuttavia, se le cose stanno come oggi, non credo che il centrosinistra possa cambiare opinione».

Discorso che vale anche per il Capo dello Stato?
«No, da sempre in Italia il presidente della Repubblica è stato eletto con un consenso più ampio di quello della maggioranza di governo. Non solo, per Cossiga e Ciampi si adottò il metodo di un'intesa preventiva che portò a una scelta largamente condivisa. Io penso che questo debba valere anche questa volta, e che il Presidente della Repubblica possa essere scelto sulla base di un'intesa larga tra le principali forze politiche, rafforzando così ancora di più il profilo del Capo dello Stato come rappresentante dell'Unità nazionale e garante della stabilità delle istituzioni».

lunedì 13 marzo 2006

Berlusconi contro Annunziata. Il padrone delle tv fugge dalla tv

 La crisi di nervi di Berlusconi durante l'intervista su Rai3 con Lucia Annunziata è diventata, com'era prevedibile, materia di scontro politico, con la destra a rovesciare insulti contro la stessa giornalista, imputata di troppa indipendenza, e la televsione che non rispetta le regole. Che poi, per il presidente del Consiglio, si riducono a tre sole: non contraddirlo, non interromperlo, non fare domande difficili.

Invitato a partecipare alla trasmissione Mezz'ora che va in onda domenica pomeriggio dopo il Tg3 delle 14, Berlusconi dopo neppure venti minuti di intervista si è alzato e se ne è andato dicendo a Lucia Annunziata: «Lei ha dei pregiudizi nei miei confronti, per questo vado via. Dovrebbe provare un po' di vergogna...». Mentre era già fuori campo e lo si è poi sentito gridare all'aria: «E poi dicono che la Rai è controllata da me! ». Una vera e propria crisi di nervi.

Prima di andarsene il presidente del Consiglio aveva apostrofato Annunziata come «una persona violenta». «Lei è una violenta e sta cercando di non farmi dire delle cose». Immediata la replica della giornalista: «Lei sta approfittando della mia buona educazione...», e Berlusconi di rimando: «Mi faccia parlare del programma... le chiedo cortesemente di farmi dire qualcosa di concreto». E ancora: «Lei deve farmi la cortesia di lasciarmi rispondere, sennò mi alzo e me ne vado. E questa cosa rimane come una macchia nella sua carriera professionale. Lei mi ha fatto delle domande e mi lasci rispondere. Sennò mi alzo e me ne vado», ha nuovamente detto Berlusconi, aggiungendo: «Lei non decide per me e io non decido per lei. Io sono un liberale. Arrivederci signora...». Lucia Annunziata risponde a tono al presidente del Consiglio definendo «offensive» le sue parole e chiedendogli apertamente di porgerle le scuse e di «ritirare» quello che aveva detto.

«Aldilà della maleducazione dimostrata nei confronti di Lucia Annunziata e dei telespettatori italiani, ci chiediamo che cosa stia succedendo a Silvio Berlusconi - ha commentato il capogruppo dei Ds al Senato, Gavino Angius -. Dopo aver perso 3 a zero con Oliviero Diliberto oggi, incapace di rispondere alla Annunziata, scappa dagli studi televisivi. Ma non era il maestro della comunicazione televisiva?». Per Angius, «la verità è che un conto è invadere la Tv, senza contraddittorio, dire bugie, parlare di comunisti e raccontare agli italiani la favola di un Paese del benessere che non esiste. Quando si tratta di confrontarsi sulle cose concrete, e dire la verità agli italiani, e cioè che il suo governo in cinque anni ha portato l'Italia allo sfascio, che nella sua maggioranza ci sono stati esponenti illustri che hanno commesso gravi irregolarità democratiche, che in cinque anni di governo della Cdl in Rai ci sono state epurazioni che hanno mandato a casa fior di professionisti, il premier perde la pazienza». «Mi auguro sentitamente che martedì Berlusconi non fugga anche dal confronto televisivo con Romano Prodi» ha concluso Angius.

Il presidente del Consiglio non è più abituato a ricevere domande ed è evidentemente turbato dai sondaggi, dai quali emerge con chiarezza che cresce il numero degli italiani sempre più stufi della sua prepotenza - ha commentato Giuseppe Giulietti, capo gruppo dei ds in commissione di vigilanza della Rai. «Silvio Berlusconi per non rispondere alle domande di Lucia Annunziata su Montezemolo , sugli epurati Rai e su tante altre cose ha preferito scappare dagli studi Tv. Ci auguriamo che voglia, provare almeno un pizzico di vergogna per l'atteggiamento villano e maleducato che ha tenuto nei confronti di Lucia Annunziata e nei confronti dei tanti italiani».

E se il fuoco di fila della destra è diretto tutto contro la ritrovata TeleKabul, solo Follini, già segretario dell'Udc, prende le distanze dal suo alleato Berlusconi: «Lo preferisco quando fa i comizi», ha chiosato sarcastico. Non la pensa così la neo-pasionaria berlusconiana Alessandra Mussolini che non trova di meglio che paragonare l'Annunziata ai casseurs che ieri si sono esibiti a Milano nelle devastazioni.

Naturalmente a gran voce si levano richieste perché il consiglio di amministrazione della Rai intervenga, come ha sempre fatto, contro l'Annunziata e il Tg3. Detto fatto: la riunione è già stata convocata per mercoledì prossimo.

«Abituato ai monologhi dove può dire tutto quello che gli pare, Berlusconi non è riuscito a superare oggi l'ostacolo del confronto giornalistico» ha chiosato il leader dell'Udeur Clemente Mastella. «Evidentemente, il modello caro al Cavaliere non è quello americano, fatto di domande stringenti sul terreno scelto dal giornalista, ma quello delle dittature sudamericane del Novecento prive di contraddittorio».

martedì 21 febbraio 2006

Fassino: noi espelliamo gli estremisti, la destra cerca con loro un accordo

Il segretario dei Ds, Piero Fassino, dai microfoni di Radio anche noi, commenta gli atti di violenza che ancora percorrono le strade di alcune capitali medio orientali, suscitati dalla pubblicazione delle famose vignette su Maometto. «Quelle manifestazioni sono il segno di uno scontro profondo tra Occidente e islam - afferma il segretario dei Ds - l'11 settembre è stato uno spartiacque e la guerra in Iraq è stata percepita dai pesi arabi come contro di loro, le elezioni in Palestina e la crisi iraniana sono anch'essi un sintomo di questa frattura».Fassino tiene a puntualizzare la sua condanna per quelle manifestazioni di violenza, ma, «se si vuole evitare che prevalgano derive fanatiche e integraliste, allora si deve sviluppare il dialogo, il confronto con le classi dirigenti moderate dei Paesi islamici». E' questa, in sintesi, la convinzione del segretario dei Ds Piero Fassino che è tornato a criticare la posizione della Lega e in particolare dell'ex ministro per le Riforme Roberto Calderoli. Quello di quest'ultimo, infatti, non è «certamente il modo» di affrontare il problema del fondamentalismo. Per il leader della Quercia, infatti, l'unica strada per scongiurare il conflitto tra civiltà è tenere aperto il «dialogo interreligioso, interculturale, interetnico. Calderoli in realtà - sottolinea Fassino - non ha solo compiuto la gaffe della maglietta, per giorni e giorni ha rilasciato interviste che chiaramente avevano il senso della sfida per gli islamici».Fassino torna poi a stigmatizzare gli slogan uditi sabato scorso nel corso di una manifestazione sulla Palestina che inneggiavano all'attentato contro gli italiani a Nassiriya che costò la vita a 19 militari. «Sono slogan inqualificabili - afferma il segretario dei Ds - e chiunque convoca una manifestazione deve avere la capacità e la responsabilità di arginare e di respingere queste provocazioni. Gli imbecilli e gli estremisti – aggiunge - ci sono in ogni schieramento. Ma c'è una differenza: noi li espelliamo dal nostro sistema, la destra invece ricerca con gli estremisti un accordo».Il segretario Ds critica infatti l’alleanza della Cdl con la destra estrema rappresentata da Alessandra Mussolini e Pino Rauti. «Il 1° marzo Berlusconi andrà negli Stati Uniti e parlerà davanti al congresso, in uno dei paesi che ha liberato l'Europa dal nazismo e dal fascismo, un paese fondato su profondi valori democratici, liberali e antifascisti: si rende conto che vi andrà dopo pochi giorni che avrà contratto un'alleanza con forze e parole d'ordine che negli Stati Uniti non sarebbero mai accettate da nessuno?». «Molti di questi movimenti neonazisti e neofascisti, anche se non candidati, chiederanno di votare per lo schieramento politico di Berlusconi perché sono suoi alleati. Quando in Francia si è paventata l'ipotesi che Lepen potesse diventare presidente della Repubblica francese - rileva Fassino – la destra conservatrice ma antifascista, come il gollismo e Chirac, non ha esitato a chiedere i voti ai socialisti e alle forze democratiche, che non glieli ha negati, pur di non farlo parlare: ci sono discriminanti in politica che non possono essere travolte in nome del fatto che si devono vincere le elezioni».D’altronde non stupisce che Berlusconi faccia l'alleanza con neofascisti e neonazisti dato che «è l'unico presidente del consiglio che in 5 anni di governo non è mai riuscito a celebrare il 25 aprile, si è sottratto anche con delle scuse un po’ miserevoli, un anno, per dirne una, si era slogato un braccio. E' chiaro - conclude il leader della Quercia - che in Berlusconi i valori dell'antifascismo non hanno nessuna radice, almeno non si allei con nazisti e con fascisti».

lunedì 13 febbraio 2006

Presentazione del Programma e della Coalizione dell’Unione

Intervento di Romano Prodi
Roma, Sabato 11 febbraio 2006
Teatro Eliseo
*****

Care italiane, cari italiani, cari amici da tutto il mondo. Mi riferisco ai tanti italiani che dall’estero ci seguono via internet e daranno il loro voto alla nostra lista e ai nostri candidati il 9 aprile, oggi presentiamo un grande progetto per il governo dell’Italia, “per il bene dell’Italia” come abbiamo voluto intitolarlo. Ed è un impegno vincolante per tutti noi.
L’impegno di governare assieme, per cinque anni, un Paese che ha grandi risorse non utilizzate, grandi energie non attivate, grandi intelligenze non mobilitate, e che ha bisogno, disperatamente bisogno, di una guida salda e fortemente riformatrice per tornare a crescere, e a svolgere il suo grande ruolo in Europa e nel mondo.
L’impegno di governare assieme, per cinque anni, seguendo il percorso tracciato dal nostro programma.
Ad esso hanno lavorato per mesi, con passione e intelligenza, uomini e donne della nostra Alleanza: quasi 500 persone hanno contribuito al lavoro delle 12 commissioni. A loro va il ringraziamento di noi tutti.
Ma voglio anche ricordare le migliaia di contributi di semplici cittadini arrivati alla Fabbrica del programma. Oltre 3000 interventi diretti nelle 21 iniziative con più di 6000 proposte scritte, e ne stanno ancora arrivando…
E’ un modo di lavorare nuovo, un lavoro svolto con serietà e dedizione, un lavoro per gli italiani e con gli italiani.
Perché noi non ci riempiamo la bocca parlando “della gente”. Noi abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente tra la gente.
Prima ancora che il merito voglio qui sottolineare lo spirito con cui ci siamo mossi e il metodo che abbiamo seguito. Lo spirito di unità che ci ha animato, la volontà costruttiva che ha guidato tutti noi nel mettere a fuoco i tanti problemi e le soluzioni che proponiamo all’attenzione degli elettori.
Le differenze, quando si sono palesate – ed era inevitabile per l’ampiezza della nostra Alleanza – sono state affrontate con il dialogo, con spirito costruttivo, con rispetto reciproco, fino a trovare la soluzione condivisa.
Non ci sono state imposizioni. E questa è per me anche una buona indicazione del metodo con cui intendiamo governare. E’ questo il nostro primo grande risultato: avere realizzato il proposito, che a molti appariva velleitario, di approvarlo insieme e di legarci ad esso in un patto di governo.
A differenza della Destra, noi oggi ci presentiamo alle elezioni del 9 aprile con un candidato alla guida del governo che i partiti della Alleanza e quattro milioni e trecentomila elettori - in quell’evento straordinario, mai visto in nessun altro paese europeo, che sono state le primarie del 16 ottobre – hanno concordemente designato.
Un candidato, non tre. E a differenza della Destra, noi ci presentiamo alle elezioni con un programma di governo che oggi sottoscriviamo e a cui ci riteniamo vincolati. L’elettore che vota per le liste della Destra non sa, in caso di vittoria, chi avrà il compito di guidare il governo. E non sa quale sarà il programma, perché ognuno dei tre che aspira esplicitamente a guidarlo ne ha uno proprio, e solo le urne potrebbero dire quale prevarrà. Il 9 Aprile voteremo con la nuova legge elettorale. Essa rappresenta un grave arretramento rispetto alla grande novità portata dal sistema maggioritario e dal bipolarismo, che aveva dato al cittadino elettore due certezze: un nome certo per la guida del governo, un impegno certo sul piano dei programmi. E’ la conseguenza sciagurata di una legge elettorale che è stata approvata per impedirci di governare limitando artificiosamente i margini di maggioranza. Una legge contro l’Italia, l’ho definita, perché il nostro paese ha disperatamente bisogno di essere governato. Essa è stata approvata nella speranza di sottoporre la nostra Alleanza a tensioni disgregatrici.
Se tensioni disgregatrici ci sono, esse sono nella alleanza della Destra, tra ambizioni personali e corse a posizionarsi per il dopo Berlusconi, che è già iniziato. Perché la verità è che alla vittoria non credono neppure loro.
Questa nostra manifestazione dimostra che la speranza di chi quella legge ha pensato e imposto non si è realizzata. Noi siamo qui, siamo uniti tra noi, offriamo agli elettori una guida certa e un programma condiviso.

Lo offriamo prima del voto: per noi, anche se la legge è cambiata, vale ancora quel patto con gli elettori, fatto di chiarezza e responsabilità, che ha segnato il passaggio dall’Italia del proporzionale e dei mille governi che stavano in carica dieci mesi, all’Italia dei governi stabili per l’intera legislatura.

La stabilità, negata dalla legge, può essere garantita da un atto collettivo di volontà politica, da un impegno d’onore che ci assumiamo nell’interesse dell’Italia.

E’ per questo che siamo qui oggi.

Ho parlato di un grande progetto per l’Italia, perché quello che approviamo oggi è molto di più di un programma.

E questo spiega la sua ampiezza.

Non dubito che a questo riguardo si eserciteranno le ironie di quanti per due anni hanno perentoriamente invocato il nostro programma, sperando che la sua elaborazione ci avrebbe irrimediabilmente divisi.

Ma la realtà è che, di fronte ai problemi che tormentano la nostra Italia, noi avevamo il dovere di offrire ai cittadini una visione completa della filosofia con cui opereremo e delle soluzioni che proponiamo.

In questo programma ci sono le coordinate entro cui si muoverà l’azione del governo.

All’interno di esse noi indichiamo le nostre priorità, tenendo conto dell’orizzonte temporale in cui si muove il governo, delle necessarie compatibilità finanziarie. Per cui il tempo necessario ad un serio ed approfondito dibattito parlamentare non sarà tempo perso.

E’ importante che i cittadini tutti e anche gli osservatori internazionali, possano comprendere entro quale percorso riformatore si inseriscono i singoli provvedimenti e il disegno complessivo che li ispira.

Siamo consapevoli che in molti settori occorreranno interventi radicali da operare per via legislativa. Ma molto deve essere anche fatto intervenendo, come ho avuto modo di dire, “con il cacciavite”, per fare funzionare a dovere gli ingranaggi della Pubblica Amministrazione.

E poiché molti degli approcci qui suggeriti, delle soluzioni qui prospettate, non richiedono tanto interventi legislativi quanto appunto una decisa e tenace azione amministrativa, si può ben dire che nel progetto si trovano anche le linee guida per l’azione, dopo il 9 aprile, avrà la responsabilità di guidare i ministeri e dare attuazione pratica al nostro progetto.

E c’è un filo che lo tiene insieme e che balza agli occhi da ogni pagina: questo è il progetto di governo di una coalizione che sta dalla parte dei cittadini, che si fa carico delle ansie, delle paure, delle preoccupazioni, delle speranze, delle aspirazioni dei cittadini.

C’è oggi chi, non possedendo altri argomenti per mancanza di risultati, cerca disperatamente di dipingere una Italia divisa dalla ideologia.

C’è chi si diletta nell’esercitare una strategia ci comunicazione molto sofisticata: un secchio di sterco la mattina e uno la sera addosso agli avversari e dipingere tutta l’Italia di rosso.

(Ormai lo disturba anche vedere passare una Ferrari).

E’ vero, gli italiani sono divisi: ma non dall’ideologia.

Dopo cinque anni di governo della Destra, gli italiani sono divisi fra chi ha tanto e chi ha poco, tra chi si è sfacciatamente arricchito e chi si è impoverito, tra chi ha evaso sistematicamente il fisco ed è stato premiato, e chi ha pagato le tasse fino all’ultimo euro, tra chi si è sentito ampiamente confortato dall’azione del governo e i tanti che sono stati abbandonati da questo governo.

Queste sono le divisioni che vogliamo eliminare.

Gli elettori sanno che il nostro governo starà, sempre, dalla parte dei cittadini.

Non sarà un governo per pochi ma per tutti.

Non farà gli interessi di pochi, e tantomeno di uno solo, ma gli interessi di tutti.

Questa è la prima, enorme differenza, tra noi e la Destra.

Io sono certo che nella nostra azione di governo non li deluderemo.

So però, per realismo ed esperienza, che potranno venire momenti di difficoltà, tanto più forte quanto più incisiva, radicale, sarà la nostra azione di governo.

Ma potremo mantenere l’indispensabile consenso perché i cittadini sanno che le donne e gli uomini dell’Unione, le donne e gli uomini che si assumeranno la responsabilità di governare, non hanno altri interessi da tutelare e promuovere che non siano gli interessi dei cittadini.

Noi agiremo “per il bene dell’Italia”.

E niente è più importante per il bene dell’Italia che il nostro Paese torni a crescere.

Questa è la priorità delle priorità. Perché se non torniamo a crescere tutto diventa più difficile, tremendamente difficile, e poco o niente è possibile.

Io non uso a cuor leggero la parola declino. Ma neppure posso ignorare il fatto che negli ultimi cinque anni tutti gli indicatori sono peggiorati.

La manifestazione più evidente del declino è l’abbassamento del tasso di crescita della produttività. Esso negli ultimi cinque anni – unico paese europeo – ha addirittura assunto valori negativi.

Sono gli anni del governo della Destra, che ha accompagnato il declino senza contrastarlo.

Questo Governo non ha contrastato il declino o perché non ha compreso la natura strutturale della crisi che viviamo, del venire a maturazione con velocità accelerata di un insieme di problemi che certo hanno avuto una protratta incubazione, ma proprio in questi anni hanno raggiunto la massa critica.

O perché non ha avuto la capacità, la voglia, la forza di affrontarne le principali manifestazioni con politiche appropriate.

Nessun artificio polemico, nessun diversivo propagandistico sbandierato con un misto di cinismo e leggerezza intellettuale da chi ha avuto la responsabilità della guida dell’economia, può mascherare questo fatto.

E allo stesso tempo è stato creato un disastro finanziario che costituisce una pesante eredità. Un’eredità che non possiamo nemmeno accettare con il beneficio di inventario.

Di qui la prima indicazione. Una politica dei due tempi, che faccia precedere il risanamento finanziario agli interventi per lo sviluppo e la redistribuzione del reddito, non è possibile.

Non è possibile perché se l’economia non torna a crescere diventa inattuabile il risanamento stesso. Ci avviteremmo in una spirale tale da condurre il sistema economico sull’orlo del collasso.

L’Italia – voglio affermarlo subito con assoluta convinzione - ha le energie per superare la crisi.

Ma per tornare a crescere sono indispensabili una grande mobilitazione di tutti i cittadini e cambiamenti profondi nei comportamenti che tengono assieme l’economia e la società.

Non bastano piccoli aggiustamenti, occorrono riforme radicali.

Non potremo ottenere una ripresa di competitività complessiva del sistema-paese senza profonde innovazioni del sistema produttivo, senza un percettibile miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini, senza una attenzione nuova alla qualità della vita delle famiglie.

Per la qualità della nostra vista è indispensabile un maggior rispetto per l’ambiente. Il degrado dell’ambiente naturale sta letteralmente cambiando la terra sotto i nostri piedi. Stiamo consumando in modo scriteriato acqua, aria, terra ed energia.

Stiamo cancellando la bellezza stessa dell’Italia, il frutto di una natura generosa e di secoli di lavoro e di genio artistico.

Se non facciamo della difesa dell’ambiente una priorità assoluta incorporando le “ragioni della natura” in tutte le nostre politiche, impoveriremo in modo irrimediabile la nostra società.

Ogni generazione ha il dovere morale di lasciare a quelle la seguiranno la possibilità di vivere una vita migliore. A questo impegno non vogliamo sottrarci.

Ma tutto questo sarà realizzabile solo con un governo che, oltre alle idee e alla determinazione nel concretizzarle, abbia la capacità di motivare e mobilitare le energie del Paese.

Un governo che sia esso stesso – per lo spirito con cui mostra di agire, la sua condotta, l’equità delle sue politiche in ogni campo – un potente fattore di coesione della società, dopo le lacerazioni, le contrapposizioni, le forzature, le imposizioni che hanno marcato la condotta di governo della Destra.

Questo è il governo che offriamo agli italiani.

E come primo provvedimento noi intendiamo ridurre sensibilmente l’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente, in una misura che ho già avuto l’occasione di quantificare in cinque punti nel primo anno di legislatura.

Una riduzione che, andando a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, sarà capace di riagganciarci alla ripresa europea, di avviare un nuovo ciclo di investimenti, di stimolare una ripresa dei consumi.

Una riduzione che attenuando di molto la convenienza dei contratti atipici contribuirà a contrarre l’area del precariato.

Essa andrà accompagnata con una politica del lavoro capace di armonizzare flessibilità e stabilità superando, attraverso significative modifiche, di quella che è impropriamente chiamata legge Biagi una inaccettabile precarietà permanente che sta penalizzando una intera generazione di giovani. Una generazione che rischia di essere frustrata nelle sue aspirazioni e di essere condannata ad un domani di pensioni miserevoli.

La riduzione dell’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente andrà accompagnata infine a una politica industriale volta a rafforzare la dimensione e la solidità finanziaria delle imprese.

Abbiamo idee, le attueremo, le sperimenteremo, pronti a scartare ciò che non funziona, pronti a battere altre strade se necessario.

Ecco, in qualche misura è questo l’approccio che dovremmo adottare.

Sempre andando avanti, perseguendo con determinazione i nostri obiettivi. Perché noi non ci rassegniamo certo al declino, come non ci rassegniamo a una società in cui le diseguaglianze crescono, la forbice dei redditi si allarga, l’area della vecchia e nuova povertà si estende, la qualità della vita per le famiglie si deteriora.

Sappiamo già però che non si torna a crescere senza investire mezzi ed energie intellettuali nella ricerca, nella innovazione e nella scuola.

Ricordo che a Lisbona l’Unione Europa aveva fissato un obbiettivo di spesa in ricerca e sviluppo pari al 3% per cento del Pil, per due terzi di origine privata.

Oggi l’Italia è all’1,1%, tra gli ultimi posti in Europa e nell’Osce.

Così non si va da nessuna parte. O meglio, si va solo indietro.

Un impegno forte nelle politiche per la ricerca è prioritario, con interventi mirati su

specifici programmi nelle aree di netta priorità, con il credito di imposta automatico sulle spese di ricerca, con il riconoscimento di agevolazioni per le assunzioni di ricercatori, con una politica attiva di trasferimento tecnologico.

E poi c’è la scuola.

Investendo nella scuola noi investiamo sui giovani. Il futuro dell’Italia parte da qui: la società e le famiglie devono investire nella scuola, chiamandola a una maggiore responsabilità per combattere contro l’impoverimento culturale, l’analfabetismo di ritorno, il fallimento formativo, la dispersione scolastica.

La scuola è una macchina complessa che ha bisogno di un progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare l’efficacia della sua azione educativa.

E’ chiaro che la riforma, attuata nella legislatura che si chiude, in alcuni dei suoi aspetti andrà radicalmente cambiata.

Penso, per esempio, alla scelta troppo anticipata dei percorsi formativi dopo la scuola media, e penso alla liquidazione della formazione tecnico-professionale. Abbiamo invece bisogno di valorizzarla ed estenderla attraverso percorsi universitari brevi, corsi che diventino le scuole tecniche del XXI secolo.

Con una particolare attenzione, a questo riguardo per il Mezzogiorno, che del ritorno alla crescita dell’Italia - che noi perseguiamo - dovrà costituire il motore, cogliendo la straordinaria opportunità che gli si offre, e che noi intendiamo cogliere, di divenire la piattaforma di raccordo tra Asia e Europa.

Di questa nostra priorità noi vogliamo che gli insegnanti si sentano protagonisti, protagonisti di un nuovo progetto culturale, perché noi ne sapremo valorizzare la professionalità e l’autorevolezza.

Non può esserci un processo di riforma e rilancio del sistema educativo se non c’è coinvolgimento degli insegnanti, che ne condividano progetti e percorsi. Non sono possibili riforme senza che i destinatari ne siano anche protagonisti.

Non si fanno buone riforme nonostante gli insegnanti.

Ridaremo a loro coraggio, motivazioni, la gioia di svolgere una funzione vitale e apprezzata come merita.

L’Italia ha di fronte una grande sfida: rimettere la conoscenza, il sapere al centro della politica, dell’economia, della società.

La competitività economica del Paese richiede un grande salto in avanti in tutti i settori della ricerca e dell’innovazione tecnologica.

Il sistema italiano della università e della ricerca mostra seri problemi e non riesce che in parte a corrispondere alla complessità delle sfide che la società gli pone.

Investire in formazione e ricerca – in particolare nelle discipline scientifiche e tecnologiche – è l’unico modo per recuperare consistenti squilibri economici e sociali.

Faremo delle università italiane un polo di attrazione per la formazione dei giovani e dei ricercatori.

Vogliamo dare spazio ai giovani nell’università e nella ricerca perché l’Italia ha bisogno di giovani che insegnino e facciano ricerca con stabilità e libertà e vogliamo stimolare decisamente le lauree in discipline scientifico-tecnologiche anche in relazione al rilancio e alla creazione di distretti tecnologici collegati con le università, gli enti di ricerca e le realtà produttive del Paese.

Il fisco rappresenta un’altra area di intervento necessario.

In questi anni la politica delle Destra, la politica dei condoni a raffica – hanno condonato persino le tangenti nella Pubblica Amministrazione, come ha stigmatizzato recentemente la Corte dei Conti – ha radicato l’idea che evadere l’obbligo fiscale sia la normalità.

Noi intendiamo ripristinare anche in questo campo la cultura della legalità e della responsabilità civica. Ricordando, intanto, che la leva fiscale non è una rapina ai danni dei cittadini ma serve a conseguire gli obiettivi comuni della nostra società.

Noi lanceremo una lotta feroce all’evasione fiscale, che in Italia sotto l’occhio indifferente del governo della Destra ha raggiunto livelli che non si riscontrano in nessun paese civile.

Il livello è tale che anche solo il recupero di un terzo dell’evasione risolverebbe molti dei nostri problemi.

Lotta feroce all’evasione, dunque, come condizione innanzi tutto di equità, ma anche di efficienza del sistema.

L’Italia è anche il paese in cui viene riconosciuto un vantaggio fiscale alla rendita mentre viene penalizzato il reddito prodotto dall’impresa e dal lavoro.

Questa è una perversione dei valori che devono animare una moderna società civile.

E allora, nel mentre come ho detto alleggeriamo sensibilmente il carico contributivo sul lavoro dipendente, agiremo per rendere uniforme il sistema di tassazione delle rendite finanziarie, escludendo però – va sottolineato con forza – i redditi prodotti dai piccoli patrimoni frutto del risparmio familiare.

E infine interverremo per un fisco amico delle famiglie.

Riconoscendo il valore sociale della maternità e della paternità, vogliamo dotare ogni bambino di un reddito che aiuti la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età e che tenga presente le esigenze delle famiglie numerose.

L’intervento per le famiglie deve essere ampio, e lo sarà.

Gli oneri a carico delle famiglie continuano a crescere. Crescono i costi della non-autosufficienza e dei figli, non solo dei minori. Basti dire che il 70 % dei giovani tra i 25 e i 29 anni vive con i genitori, nella sostanziale impossibilità di rendersi autonomi e di formare nuove famiglie.

Le difficoltà colpiscono ormai anche le famiglie con redditi medi, e divengono insostenibili per le famiglie monoparentali.

Esercitare il diritto alla maternità significa per molte donne rinunciare a quello del lavoro. Non stupisce che il tasso di fertilità nel nostro Paese sia il più basso d’Europa, e che la denatalità sia divenuta un fenomeno allarmante, con il risultato che siamo anche il paese più vecchio.

Sulla famiglia il governo della Destra ha fatto molta retorica, ha speso molte parole. E mena scandalo per il nostro proposito di regolare in maniera civile le unioni di fatto.

Ma il vero scandalo è l’assenza di una politica efficace e ad ampio raggio di sostegno alla famiglia, così come è definita dalla nostra Costituzione.

Il vero scandalo è che sta diventando un lusso sposarsi.

Il vero scandalo è che siamo arrivati al punto in cui è più conveniente non sposarsi.

Il vero scandalo è che, invece di una politica coerente e permanente, si adotta quella dei bonus una tantum, di cui vantarsi con relativa letterina elettorale spedita a carico del contribuente.

Il vero scandalo è tenere in condizioni di precarietà lavorativa permanente i giovani, con l’effetto che le giovani coppie non solo devono differire nel tempo la loro unione, ma devono rinunciare al sogno di farsi una casa, salvo che non intervengano i genitori, perché il sistema bancario non concede mutui per la precarietà della loro condizione di lavoro.

Per noi questo, tutto questo, è uno scandalo intollerabile.

Noi sosteniamo il diritto di ogni persona a costruire il proprio percorso di vita, e il ruolo delle famiglie come il luogo di esercizio delle solidarietà intergenerazionali, della cura e degli affetti.

Non basta un fisco amico delle famiglie, noi dobbiamo realizzare una società amica delle famiglie.

Noi ci poniamo l’obbiettivo di raddoppiare nell’arco della prossima legislatura il numero degli asili nido e istituiremo un fondo di garanzia per i mutui alle giovani coppie.

E attueremo un programma di sviluppo dell’assistenza domiciliare integrata, facendo affluire in un Fondo nazionale per l’autosufficienza tutte le risorse già oggi impegnate nel settore, predisponendo un percorso di graduale incremento delle risorse pubbliche, ma facendo anche leva su cooperative e soggetti del terzo settore.

Noi, il governo di centrosinistra, investiamo sulla famiglia, investiamo sul suo futuro: perché noi investiamo sul futuro dell’Italia.

Metter su casa è diventato quasi impossibile per molti giovani e difficile è anche pagare affitti sempre più salati.

Nonostante i tassi di interesse sui mutui si siano fortemente ridotti (e questo è uno dei meriti dell’euro) la vertiginosa crescita dei prezzi delle abitazioni (+40% negli ultimi quattro anni) ha reso inaccessibile l’acquisto della casa per molti.

Gli affitti sono andati alle stelle con aumenti di oltre il 50% negli ultimi anni. Ci vogliono più case per l’affitto. Ci vuole una maggiore offerta pubblica e ci vuole un mercato che funzioni meglio.

Hanno venduto pezzi consistenti di patrimonio abitativo pubblico ma hanno quasi azzerato la costruzione di nuovi alloggi. Dobbiamo investire di più in edilizia pubblica, non come hanno proposto loro con promesse che non possono mantenere e non aumentano di un solo vano la disponibilità edilizia.

Vogliamo rendere più trasparente il mercato delle locazioni utilizzando la leva fiscale per scoraggiare il nero e per ridurre il carico fiscale sugli affitti.

Vogliamo anche aiutare le giovani coppie ad acquistare la casa istituendo un fondo di garanzia pubblico per la concessione di mutui da parte del sistema bancario.

Gran parte della profonda modificazione nella distribuzione dei redditi delle ricchezze (che ci consegna un crescente numero di famiglie in difficoltà) è legata ad un andamento abnorme dei prezzi.

In particolare è il lavoro ad essere stato penalizzato mentre i prezzi dei beni non sottoposti ad una vera pressione concorrenziale sono saliti vertiginosamente.

Colpa dell’Euro? O colpa di come abbiamo sorvegliato il passaggio da lira a euro?

Sono solo mancati i controlli o piuttosto è stata una scelta politica deliberata per favorire pochi a danno di tanti?

I prezzi hanno continuato a salire e continuano ben oltre la fase di passaggio da una moneta all’altra. Oggi abbassare il livello di alcuni prezzi è una priorità, ma è difficile come rimettere il dentifricio nel tubetto, anche perchè c’è chi il tubetto continua a stringerlo e le nostre famiglie vedono crescere le difficoltà.

Agiremo su due livelli: maggiore potere di acquisto alle famiglie e servizi liberati dal peso e dalle incrostazioni dei monopoli e quindi meno cari.

Queste che ho esposto sono le colonne portanti di un programma dalla parte dei cittadini, il programma di un governo dalla parte dei cittadini.

Le colonne portanti, non evidentemente l’intero edificio. La lettura anche solo dei titoli dei capitoli in cui si articola il nostro progetto elaborato “per il bene dell’Italia” dà la percezione della ampiezza degli interventi che lo stato del Paese richiede.

A questo, a tutto questo, settore per settore, ci dedicheremo con identica passione, con identica determinazione.

Agiremo in un mondo dove tante e purtroppo crescenti sono le ragioni di forte preoccupazione, e troppo spesso di serio allarme.

Occorre un forte e rinnovato impegno nella lotta al terrorismo internazionale, che minaccia l’insieme delle società del mondo contemporaneo.

Il fenomeno terrorista è mosso oggi, in primo luogo, da un pericoloso fondamentalismo, che agita la bandiera religiosa per coprire un disegno politico perverso, che con i valori religiosi autentici non ha nulla a che fare.

Nei confronti dei metodi terroristici, condotti sia da organizzazioni sia da Stati, affermiamo la nostra ripulsa morale e politica.

Siamo fermamente convinti che la lotta al terrorismo vada condotta con strumenti politici, di intelligence e di contrasto delle organizzazioni terroristiche.

E’ in primo luogo sul piano politico, sociale ed economico che dobbiamo battere il disegno del terrorismo, prosciugando il serbatoio degli adepti.

Nella politica globale per la lotta al terrorismo noi saremo partecipi convinti, con i nostri valori e le nostre risorse, anche risorse militari ogni qual volta che esse siano legittimamente mobilitate dalle organizzazioni internazionali cui apparteniamo.

In ogni evenienza risponderemo con prudenza, con equilibrio, e quando necessario con fermezza.

Guidati da scelte precise nella nostra politica estera.

Scegliamo l’Europa e il processo di integrazione europea come ambito essenziale della politica italiana.

Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo italiano e l’articolo 11 della Costituzione al centro delle decisioni in materia di sicurezza.

Scegliamo il multilateralismo, inteso come condivisione delle decisioni e costruzione di regole comuni.

Scegliamo una politica preventiva di pace che persegua attivamente l’obbiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale, favorendo la prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei bacini dell’odio.

Scegliamo la legalità internazionale come chiave per affrontare i conflitti e per la costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto.

Scegliamo di mettere al centro dell’azione dell’Italia la promozione della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne.

E’ per questi valori e questa visione del mondo che, così come in alcuni casi abbiamo ritenuta legittima e doverosa la partecipazione militare dell’Italia a importanti missioni di pace, delle quali andiamo orgogliosi, non abbiamo invece condiviso la guerra in Iraq e la partecipazione italiana.

Consideriamo la guerra in Iraq e l’occupazione un grave errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato il problema della sicurezza. Il terrorismo ha trovato in Iraq una nuova base e nuovi pretesti per azioni terroristiche interne ed esterne ai confini iracheni.

Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnici necessari, definendone anche in consultazione con le autorità irachene le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite.

L’impegno italiano in Iraq non cesserà ma assumerà forme radicalmente diverse, prevedendo azioni concrete per sostenere la transazione democratica e la ricostruzione.

Abbiamo, per il resto, ben ferme due stelle polari.

La prima è l’Europa, come ho appena accennato.

Non potremo ridare dignità e forza al Paese se non lo riporteremo saldamente al centro dell’Europa. Se non faremo della nostra appartenenza all’Europa la nostra forza e la nostra bandiera. Se non lavoreremo con tenacia per fare dell’Europa un soggetto forte e unito nello scenario internazionale. Mai più dovremo avere posizioni differenti su una questione come l’intervento in Iraq. Mai più dovremo permettere che si divida l’Europa in una Europa amica degli Americani e una un po’ meno amica. L’Europa dovrà prima di tutto essere filoeuropea e solo allora sarà un alleato serio, leale e affidabile degli Stati Uniti.

Il governo della Destra non ha capito che nella sua politica internazionale l’Italia conta solo se conta in Europa. E noi lavoreremo per ricollocare l’Italia tra i paesi guida dell’Europa.

L’altra stella polare è la Costituzione repubblicana.

In ogni democrazia le istituzioni sono lo strumento fondamentale per garantire i principali valori costituzionali: libertà, partecipazione, pluralismo, equilibrio dei poteri.

Il governo della Destra ha applicato alle istituzioni una logica proprietaria. Come sappiamo bene, proprio in scadenza di legislatura ha inflitto due gravi colpi al sistema costituzionale, cambiando la legge elettorale e riformando radicalmente la Costituzione.

Sono, entrambi, progetti elaborati senza alcun coinvolgimento dell’opposizione, ma anzi contro di essa.

La costituzione e le istituzioni sono diventate merce di scambio, usate per tenere insieme una coalizione politica ormai priva di ogni collante ideale e progetto politico.

Gli echi della nostra battaglia sono troppo freschi per richiedere qui ulteriori puntualizzazioni. I cittadini italiani avranno modo il 9 aprile di dire cosa pensano dell’operato del governo della Destra anche su questo terreno, e di bocciare nel successivo referendum una riforma costituzionale che lacera il Paese.

Mi limito qui a riaffermare due principi basilari che dovrebbero essere ovvi, che per noi sono ovvi perché fanno parte del Dna originario di ogni democrazia. Primo, le istituzioni sono di tutti; secondo, la Costituzione si cambia solo insieme.

Ecco, questo è in sintesi il programma con cui la coalizione di centrosinistra va alla prova delle elezioni, parte del più vasto progetto di governo “per il bene dell’Italia”.

Con un messaggio, malgrado tutto, di sobrio ottimismo: si, possiamo farcela, l’Italia può farcela.

Su questo, noi chiediamo il voto.

Chiediamo un voto che mandi all’opposizione chi dalle elezioni precedenti ha avuto il potere e lo ha usato male, che mandi a casa chi ha fallito e ha fatto del male all’Italia.

A chi ha già votato per noi nelle precedenti elezioni politiche, ai tanti che ci hanno dato la vittoria in tutte le elezioni di questa legislatura, io dico anche a nome di tutti voi: dateci la vostra fiducia, perché senza di voi niente è possibile.

A chi ci ha negato finora il suo voto, io dico: è ora di voltar pagina.

E a tutti dico: per il bene dell’Italia non vi deluderemo.

Questo è l’impegno di tutti noi.

Il nostro è un sogno e un progetto. E’ il sogno di un mondo più libero, più giusto e più unito.

Che si traduce in un progetto che vogliamo, giorno dopo giorno, realizzare.
Consapevoli della nostra storia, guardiamo al mondo con spirito aperto, con l’ambizione di esserne nuovamente protagonisti.

Per l’Italia, questo è il tempo delle scelte.